Almanacco del 1° giugno, anno 1970: muore a Milano Giuseppe Ungaretti. Immortale poeta, si caratterizza per componimenti brevi e concisi, tale da essere considerato un precursore dell’ermetismo. Della sua lunga produzione, l’opera più celebre è senza dubbio Allegria di naufragi, nella quale racconta con vivido realismo tutta la drammaticità del soldato al fronte.
Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani originari della provincia di Lucca. Il padre, Antonio, aveva lavorato come operaio alla costruzione del Canale di Suez e poi era rimasto in Egitto con la moglie. Frequenta le scuole ad Alessandria e sin da subito sviluppa una passione per la poesia. La multietnicità che caratterizza la città sul Nilo, poi, gli permette di allargare i suoi orizzonti.
Nel 1912 si traferisce a Parigi per studiare all’Università. L’anno successivo deve affrontare la perdita del suo amico d’infanzia Mohammed Sceab, morto suicida, al quale dedica il poema In Memoria. In esso esprime tutto il senso di smarrimento che comporta la condizione di apolide sradicato, matrice del gesto estremo compiuto da Sceab. Costui, infatti, arabo di origine, aveva seguito Ungaretti a Parigi e aveva cercato di trovare una nuova identità francese (aveva mutato nome in Marcel), ma senza riuscirci.
Nel 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale. Ungaretti partecipa attivamente alla campagna interventista e quando l’Italia entra in guerra, si arruola volontario. Il suo iniziale entusiasmo bellicista svanisce però dinnanzi la brutalità e l’alienazione della guerra. Lo shock è però un ottimo propulsore per il suo talento poetico. In trincea tiene un taccuino sui cui annota brevi componimenti, che poi verranno pubblicati nel 1919 nella raccolta Allegria di Naufragi.
In Mattina, Ungaretti esprime tutta la gioia di un militare che raggiunge un nuovo giorno ancora in vita. Soldati, invece, palesa tutta la precarietà della vita al Fronte, paragonabile a quella di una foglia secca in autunno, alla quale basta un leggero soffio per cadere dall’albero. San Martino del Carso racconta della devastazione dei bombardamenti sul paesaggio (“Di queste case/ non è rimasto/ che qualche/ brandello di muro“) e nell’animo (“è il mio cuore/ il paese più straziato“). In Fratelli, l’incontro con commilitoni di un altro reggimento diviene l’occasione per manifestare un senso di ribellione contro la disumanizzante ostilità che instilla la guerra.
Rientrato dal fronte, nel 1921 sposa Jeanne Dupoix, dalla quale avrà tre figli: un bambino nato morto nel 1921, Anna Maria e Antonietto. Nel 1925 aderisce al Regime, del quale firma il Manifesto degli intellettuali. Diviene corrispondete de La Gazzetta del Popolo e questo lo porta a viaggiare in diverse parti del mondo. Nel 1936 si trasferisce a San Paolo per insegnare Letteratura Italiana all’Università della città brasiliana. Qui subisce la morte per appendicite del figlio Antonietto, nel 1939, al quale dedica la poesia “Giorno per giorno“, nel quale cerca di affrontare il più innaturale dei dolori.
Nel 1942 torna in Italia e gli viene affidata la cattedra di Letteratura modera e contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. Nel 1944, dopo la riconquista di Roma da parte delle forze alleate, viene estromesso dall’insegnamento proprio per i suoi collegamenti con il decaduto regime. Anche a guerra finita, continua la sua interdizione dalla docenza, alla quale è riammesso solo nel 1958 e rimanendo in cattedra sino al 1965. Anche se in pensione, continua le sue attività culturali. Concede anche interviste in televisioni, nelle quali spiega il senso della sua poetica e dei suoi componimenti, prima di spegnersi il 1° giugno 1970.