Si tratta dell’ennesima scoperta relativa all’antico insediamento etrusco-campano, sviluppatosi in questo territorio dagli inizi del IX secolo a.C. fino all’età romana. Durante le indagini archeologiche preventive condotte dalla Soprintendenza Archeologica delle Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino, i ricercatori hanno portato alla luce la tomba numero 10.000, facente parte della necropoli di Pontecagnano già ampiamente esplorata.
Si tratta di una necropoli della fine del V secolo a.C., frequentata fino alle prime fasi dell’insediamento romano. La maggior parte appartengono al periodo sannitico e danno una chiara immagine del costume funerario dell’epoca. Si notano delle differenze tra i vari sepolcri dovute allo stato sociale, al genere e alla classe d’età dei defunti.
Nello specifico, la “tomba numero 10.000” è un sepolcro a cassa, costruita con tufo grigio campano (e non con il travertino, pietra locale ampiamente utilizzata in questo territorio). La costruzione risulta essere molto accurata: tre blocchi in tufo modanati costituivano la copertura della cassa, realizzata con blocchi perfettamente squadrati. Dalla lunghezza dello scheletro e dalle dimensioni delle ossa, si presuppone che si trattasse di un adolescente. Di lui si conserva molto bene la parte inferiore, mentre le radici e molto probabilmente animali hanno danneggiato la parte superiore.
Con lo scheletro sono state ritrovate anche una cintura di bronzo (indossata) e due coppe a vernice nera. Una delle due è una tipica coppa destinata al consumo di vino. Questi sono elementi peculiari del costume maschile dell’epoca: la cintura allude alla sfera bellica; la coppa di vino è un riferimento al simposio. Manca, tra gli oggetti ritrovati, l’arma da lancia, tipica del corredo maschile in società simili.
Sul cantiere erano presenti la soprintendente Francesca Casule, il sindaco di Pontecagnano Faiano Giuseppe Lanzara e il funzionario archeologo direttore del Museo di Pontecagnano Luigina Tomay. Con loro la Professoressa Antonia Serritella dell’Università degli Studi di Salerno e Bruno Baglivo, archeologo responsabile dei lavori.