Un atto di ribelle vendetta le costò la vita, in un torrido giorno di settembre del 1599. Ma se la testa di Beatrice Cenci saltò, fu a causa di un’ingiusta vita. E attorno al concetto di “ingiustizia” che lasciamo ruotare la vicenda di questa ragazza, di questa donna. Già sintomo di sopruso è la sua nascita, in seno alla potente famiglia Cenci, nel 1577. Il padre è Francesco Cenci, figlio di monsignor Cristoforo, tesoriere della Camera Apostolica. A Roma questa stirpe contava, eccome se contava.
Francesco è un uomo pessimo, violento e prepotente, che mette mano al patrimonio familiare tante volte quante sono quelle in cui la combina grossa. In breve, la giustizia per un uomo della sua posizione richiede sanzioni salatissime, ma se si fosse trattato di individui di minor pregio, la pena avrebbe comportato il patibolo. Beatrice poi è una fra tante e tanti, perché in 21 anni di matrimonio, Francesco Cenci ed Ersilia Santacroce hanno messo al mondo dodici figli. Di questi l’età adulta la conosceranno solo in sette; una grande sfortuna, ve lo diciamo fin da adesso.
Beatrice e sua sorella maggiore Antonina finiscono in convento, precisamente tra le francescane di Montecitorio. All’età di 15 anni Beatrice torna a casa, giusto in tempo per vivere in prima persone le orrende molestie del padre. Pensate: Antonina (anche se alcune fonti indicano Beatrice come autrice della lettera) è allo stremo della sopportazione, così scrive a Papa Clemente VIII. Ella chiede l’allontanamento dal padre, o per vie nuziali o intraprendendo la vita conventuale. Insomma, non importa come, basta che se ne vada da quel posto.
Il pontefice accoglie la richiesta e combina un facoltoso matrimonio. L’evento costringe Francesco ad impegnarsi per un’altrettanto facoltosa dote. L’uomo promette a se stesso che ciò non accadrà mai più, perciò fa recludere Beatrice (diciottenne, in età per maritarsi) e la sua nuova compagna Lucrezia Petroni. Entrambe nel 1595 finiscono nella Rocca di Petrella Salto, Regno di Napoli. Il castello nobiliare in realtà è di proprietà Colonna, ma i Cenci l’abitano da tempo. I contatti con l’esterno per le donne sono minimi, quasi nulli. In tale ambiente cresce in Beatrice un forte risentimento per il padre.
La giovane Cenci tenta invano l’invio di missive d’aiuto; una finisce sotto gli occhi di papà Francesco, il quale va su tutte le furie, si reca nella Rocca e picchia con assurda violenza la povera Beatrice. Quella è la goccia che fa traboccare il vaso. Adesso la ragazza cerca vendetta, vuole la morte del padre e per ottenerla chiede l’aiuto dei fratelli nonché dei servitori. Tutti acconsentono e l’assassinio si consuma nei primi del settembre 1598. Il mascheramento dell’omicidio è dilettantistico e le indagini dell’autorità papale rintracciano immediatamente i colpevoli.
Clemente VIII ordina l’esecuzione per tutti i membri della famiglia Cenci, compresi i servitori. L’unico a “salvarsi” è uno dei figli, Bernardo, il quale vista la giovane età, viene spedito a vita tra i remi delle galere pontificie. Beatrice Cenci conosce prima il dolore della tortura e poi la decapitazione, avvenuta l’11 settembre 1599. Il popolo romano non dimenticherà le vicende di quella nobildonna e la eleverà ad eroina. Non solo, sul suo conto nasceranno leggende di vario tipo, come quella che vede il suo fantasma privato della testa aggirarsi per Ponte Sant’Angelo ogni 11 settembre. Beatrice Cenci sarà per sempre ricordata come “vittima esemplare di una giustizia ingiusta” (come riporta la targa affissa in Via Monserrato, dietro Campo de’ Fiori).