La tragica vicenda di Ipazia, scienziata alessandrina vissuta nel IV secolo d.C., è uno dei tanti esempi di prevaricazione del fanatismo religioso sulla scienza. La strenua lotta della donna e il suo sanguinoso epilogo hanno impressionato e impressionano molto i posteri, tanto da elevarla a “martire della libertà di pensiero”.
Ipazia nacque intorno al 355 ad Alessandria d’Egitto, la magnifica città fondata da Alessandro Magno alla foce del Nilo. Sin dall’epoca ellenistica, l’antica megalopoli costituì un centro di cultura per tutto il mondo antico, ospitando la celebre biblioteca. Seppur già all’epoca di Ipazia la Biblioteca avesse subito ingenti danni e fosse ormai declino, Alessandria costituiva ancora un grande centro della cultura pagana.
L’Egitto era una provincia romana, parte di un Impero Romano che si stava avviando alla completa cristianizzazione. La conflittualità tra pagani e cristiani era altissima, specie in una megalopoli cosmopolita come Alessandria. Ad aggravare la situazione si aggiunse il fanatismo del vescovo Teofilo. Costui, intenzionato ad eliminare tutto ciò che fosse connesso al paganesimo, nel 391 esortò i suoi seguaci, con l’avvallo dell’imperatore, a distruggere due importanti centri della cultura pagana, il Museo e il Serapeo, il tempio dedicato alla dea Serapide.
Ipazia si interessò sin da bambina alla matematica, all’astronomia e alla filosofia, grazie all’influenza del padre Teone, matematico e astronomo, direttore del Museo e forse anche del Serapeo. Ipazia dimostrò subito grande intelligenza e predisposizione per lo studio e per la scienza. Il suo amore per la cultura si tradusse in una grande generosità nel voler trasmettere a tutti le proprie conoscenze. Addirittura si racconta che si mettesse a divulgare le proprie conoscenze anche per strada, a chiunque volesse ascoltarla. Questo suo altruismo era dettato anche dalla volontà di combattere l’annientamento della cultura ellenistica portato avanti dal vescovo Teofilo.
La sua grande conoscenza le porta anche grande fama in città, tantoché persino il governatore cristiano di Alessandria, Oreste, prende consigli da lei. Il prestigio che ha assunto Ipazia non è più quindi solamente culturale, ma anche politico. Intanto, nel 412 vescovo Teofilo morì e gli succedette il nipote Cirillo, determinato quanto lo zio a perseguitare tutte le culture non cristiane. Ma Cirillo andò anche oltre. Intendeva infatti mettere mano anche alle questioni politiche che riguardavano Alessandria, sfidando apertamente l’autorità del governatore Oreste. La tensione esplose nel 414, quando un imprecisato numero di cristiani viene massacrato da alcuni ebrei, stanchi delle vessazioni del fanatismo cristiano fomentato dallo stesso Cirillo.
Oreste, quindi, cacciò dalla città la comunità ebraica, ma anche se avesse voluto, non avrebbe potuto nulla contro Cirillo, membro del clero sostenuto anche da Elia Pulcheria, reggente per il fratello, l’imperatore Teodosio II. Il conflitto fra Oreste e Cirillo è ormai insanabile. Una voce in città asseriva che fosse proprio Ipazia, assetata di potere, ad impedire la riconciliazione fra i due. Appellandosi a questa diceria, e a falsi atti di stregoneria imputati ad Ipazia, una setta cristiana seguace del vescovo decise di organizzare una rappresaglia contro di lei. Le tesero un’imboscata, la catturarono, la trascinarono lungo le strada lastricata, le strapparono le vesti e la pugnalarono. Così se ne andava Ipazia, barbaramente assassinata dal fanatismo religioso, rea solamente di essere una donna colta e di aver liberamente promosso la scienza.