Parlandovi del Forte Rosso di Delhi, ci siamo ritrovati per forza di cose a citare lo sfarzoso Trono del Pavone. Con questo nome altisonante, ci riferiamo ad un seggio reale che per ben un secolo e mezzo esaltò la figura dell’imperatore Moghul – o Gran Mogol, che dir si voglia. Vi avevamo promesso un approfondimento sul tema ed eccoci qui oggi a tener fede alla parola data. Iniziamo!
Così come per il Taj Mahal, anche il Trono del Pavone fu costruito per volontà di Shah Jahan, settimo sovrano Moghul e in generale uno dei più noti. I suoi anni da regnante corrisposero all’età dell’oro dell’impero, ragion per cui comprendiamo l’esigenza nel volersi dotare di un simbolo sfarzoso come può esserlo un trono completamente aureo e incastonato con pietre preziose. Per la sua realizzazione accorsero a corte i migliori orafi e artigiani del subcontinente indiano.
Smeraldi, diamanti di ogni colore, rubini, perle mai viste prima, una tonnellata d’oro puro e tanta, tantissima accuratezza. Da tali ingredienti nel 1635 ne venne fuori un capolavoro, degno del Gran Mogol. Nello stesso anno si tenne la cerimonia inaugurale del trono, all’interno del Forte Rosso di Delhi. Tra tutti i gioielli presenti nell’opera, le testimonianze dell’epoca si soffermano sul Koh-i-Noor, un “bestione” di diamante da 108 carati, a lungo detentore del primato mondiale per la sua grandezza. Piccola chicca: oggi il diamante fa parte dei Tesori della Corona Inglese e si trova nella Torre di Londra.
Ma se immaginate il Trono del Pavone come una poltrona di lusso, vi sbagliate. Si trattava di un complesso artistico che richiamava la forma di un letto, lungo quasi due metro e largo uno e mezzo. Esso era caratterizzato da un alto baldacchino sostenuto da colonne perlate. Alcuni europei, del calibro di Jean-Baptiste Tavernier (il quale aveva un debole per i diamanti, ma questa è un’altra storia…), ebbero modo di osservare l’inestimabile capolavoro e descriverlo come “La ricchezza che rende poveri i cieli”.
Pensate che per la realizzazione del Trono del Pavone, Shah Jahan utilizzò il doppio dei fondi imperiali destinati alla costruzione del Taj Mahal. Il doppio… Noi oggi associamo il manufatto alla figura del pavone – perché sul retro del trono si diceva si trovassero raffigurati due pavoni – ma allora la corte Moghul si riferiva al seggio col semplice nome “Trono d’oro”. Ora la domanda che tutti vi state ponendo: che fine fece questo ben di Dio? Come anticipato nell’articolo correlato, il Forte Rosso cadde sotto l’assedio di Nadir Shah Afshar, Scià di Persia, nel 1739.
Il trono non sfuggì alla razzia e risultò il pezzo pregiato del ricco bottino persiano. Tuttavia alla morte dello Scià, i cospiratori “dilaniarono” il Trono del Pavone, facendone perdere le tracce. Ad oggi l’unico oggetto che in qualche modo ne conserva l’eredità materiale, è il piedistallo di marmo, preservato e quindi visitabile.