Tutti conosciamo le incisioni rupestri ed abbiamo studiato le grotte di Lascaux ed i suoi splendidi disegni. Oggi parleremo però di altri segni antropici, un po’ meno conosciuti, ma ugualmente spettacolari e ricchi di informazioni. Parliamo delle incisioni millenarie ritrovate in Namibia e studiate con l’aiuto di indigeni del luogo.
Nell’arido deserto del Kalahari, in Namibia, di recente gli studiosi dell’Istituto tedesco Heinrich Barth di Colonia, hanno ritrovato delle splendide opere artistiche ante litteram. Magari non nacquero nemmeno come tali, avevano scopi rituali e propiziatori per la caccia, se non svolgevano addirittura delle funzioni apotropaiche. Oggi però somigliano più ad un’enciclopedia incastonata ed incisa nella roccia.
Gli studiosi dell’Istituto Barth si sono fatti coadiuvare nei lavori dagli indigeni del luogo, scoprendo moltissime informazioni preziose. Innanzi tutto, la grande conoscenza della flora e della fauna locale, presente ma anche passata, ha aiutato – e non poco – nell’identificazione dei soggetti rappresentati.
Oltre a questo, gli indigeni erano in grado anche di classificare gli animali incisi nelle rocce desertiche sulla base di: fascia d’età, sesso e razza. Non si tratta di conoscenze scientifiche vere e proprie, ma senza dubbio è stato un aiuto provvidenziale che la scienza potrà cogliere al balzo.
Si tratta di un tipo di conoscenza tipica degli abitanti di zone inospitali e che non hanno accesso a tecnologie e saperi avanzati. Per sopravvivere è necessaria banalmente una grande conoscenza dei territori circostanti e di chi li abita. Dunque anche gli animali e le piante che circondano il deserto del Kalahari.
Proprio questo ha aiutato anche ad ampliare le nostre di conoscenze. L’unione dei mezzi scientifici degli studiosi tedeschi e di quelli pratici degli indigeni, ha dato vita ad una serie di informazioni su animali dell’Età della Pietra che non avevamo finora. Si tratta di una vero e proprio connubio di sapere teorico e pratico che ha giovato un po’ a tutti.