Vincenzo Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801, nel palazzo Gravina Cruyllas, ora sede del museo a lui dedicato. La sua storia, già dalla nascita, sembrava scritta: sia il padre che il nonno, suo omonimo, erano compositori di musiche sacre. Più che il padre fu Vincenzo Bellini Senior, maestro di conservatorio, a scoprire il talento del nipote.
Grazie ad una preparazione durata dal 1815 al 1816, curata proprio dal nonno presso la sua residenza a Napoli, Bellini ottenne una borsa di studio per il conservatorio di San Pietro di Mayella, dove fu allievo del maestro Nicola Zingarelli.
La sua carriera inizia quando era ancora adolescente, scrivendo arie per voce e orchestra. Tra queste ”Dolente Immagine”, dedicata all’amata Maddalena Fumaroli. Più avanti, l’opera ”Bianca e Fernando” fu un vero successo al teatro San Carlo di Napoli. Questa consentì a Bellini di ottenere la prima rappresentazione su commissione a Milano, dove si trasferì.
A Milano compose ”Il Pirata”, ”La straniera”, ”La Sonnambula” e ”La Norma”. Anche questi furono un successo. Grazie a Domenico Barbaja, scopritore di talenti a quel tempo, si trasferì da Milano a Parigi. Qui conobbe Chopin e iniziò la composizione di diverse opere da camera, rimaste incomplete a causa della prematura morte.
Se oggi conosciamo la biografia di questo grande compositore italiano è grazie a Francesco Florimo, compagno di studi di Napoli, e lo zio materno Francesco Ferlito. Florimo, in particolare, rivela l’amore per la giovane borghese Maddalena Fumaroli. La loro storia comincia quando il padre di lei, il magistrato Saverio Fumaroli, decide di invitare alcuni studenti del collegio di musica nella sua abitazione durante le feste natalizie, per intrattenere gli ospiti.
Tra questi spiccava Vincenzo Bellini, che conquistò la giovane non solo per l’eleganza e la bellezza ma anche per la sua bravura nel campo musicale. Il magistrato, volendo indirizzare la figlia verso musica e pittura, assunse Bellini affinché impartisse lezioni a Maddalena. I due ben presto si innamorarono, ma non appena sia la madre che il padre di lei se ne accorsero, impedirono a Vincenzo di continuare le lezioni e di farle visita. Lui insistette più volte per prenderla in sposa, ma il padre rifiutò perché non poteva sposare un semplice ‘suonatore di cembalo‘. Non solo, le impedì di girarsi per rispondere al suo saluto.
Subito dopo il successo di Vincenzo a Milano, però, Maddalena ottenne il consenso da parte del padre alla nozze con il musicista. Così scrisse subito una lettera all’amato, ma la risposta non fu quella che si sarebbe aspettata: Bellini intendeva dedicarsi esclusivamente alla musica. Maddalena, ferita nel profondo da quella risposta, si ammalò e nel giugno 1834 venne a mancare. Lei non fu l’unica donna della sua vita. Tra le tante figura Giuditta Cantù Turina, moglie di Ferdinando Turina. Bellini fu loro ospite durante il soggiorno a Milano ed iniziò una relazione segreta durata ben 5 anni con Giuditta.
Vincenzo Bellini era al tempo quello che oggi si definirebbe un Don Giovanni: riccio, biondo e con occhi azzurri, rappresentava un idolo per le donne. Era seducente e intrigante, oltre che eccezionale nel campo musicale. Dietro questa maschera si celava però una personalità insicura e fragile, sempre insoddisfatto del proprio lavoro. Le protagoniste delle sue opere, portano il peso di reali sofferenze: donne a lui care, in grado di dare anima e cuore, a cui non seppe mai dedicare il suo amore. Attraverso le sue composizioni le rese eterne, vittime del suo ego e del suo narcisismo.
Gli ultimi anni della sua vita li passò a Parigi, ospite dei coniugi Levy. Qui iniziò ad accusare i primi malori provocati da febbri intestinali. Era praticamente impossibile fargli visita, rifiutava qualsiasi tipo di aiuto. Solo il Barone D’Aquino riuscì ad entrare nella sua stanza e vide il corpo del giovane musicista ormai senza vita il 23 settembre del 1835. Dopo la sua morte i Levy fuggirono, e questa fuga sospetta indusse il re Vittorio Emanuele II ad ordinare una necroscopia per sospetto avvelenamento. L’esame venne eseguito due giorni dopo e mostrò un estesa infiammazione intestinale e un ascesso nel fegato. Conoscendo i trascorsi di Bellini, tutti inizialmente pensarono che ad avvelenarlo fu proprio Levy, dopo aver scoperto la relazione segreta tra la moglie e il musicista.
Inizialmente sepolto nel cimitero di Pere-Lachaise, accanto a Chopin e Cherubini, nel 1876 tornò nella suo terra di origine, Catania. Anni dopo il chirurgo Antonio Cannavò, docente universitario, decise di rilasciare un breve saggio sulla morte di Bellini, frutto di ricerche eseguite su bollettini medici del 1827 e l’esame necroscopico del 1835. Il saggio di fatto smentisce la credenza popolare secondo cui Bellini fu vittima di avvelenamento. Sembra piuttosto che la causa della morte sia da ricondurre ad una ”rettocolite ulcerosa riacutizzata di natura psico-somatica seguita da ascesso epatico piogenico”. Quindi sicuramente lo stress psicofisico a cui Bellini era sottoposto ebbe un impatto non indifferente sulle sue condizioni di salute.
La sua prematura scomparsa e l’inaccettabile perdita di un genio dell’opera alimentano il mistero della sua morte. Sono ancora molti, infatti, a credere nell’ipotesi dell’avvelenamento. Le spoglie di Vincenzo Bellini si trovano nel Duomo di Catania, mentre nel centro della città si trova l’opera monumentale di Giulio Monteverde, nel quale il giovane compositore rivolge lo sguardo a Sant’Agata, patrona di Catania.