Non lontano da Gerusalemme, per gran parte dell’area che dalla città procede a sud-est verso il Mar Morto, si estende un territorio arido, roccioso e disabitato, ma ricchissimo dal punto di visto storico e archeologico. Sede di un importante patrimonio papirologico, il deserto della Giudea ha progressivamente restituito preziose testimonianze sulla cosiddetta “rivolta di Bar Kokhba” contro l’occupazione romana del II secolo. Nelle ultime settimane, invece, è stata la volta di una camicia da notte appartenuta a un bambino di 1.900 anni fa.
A quanto pare, infatti, i numerosi alvei scavati nella roccia del deserto, ideali ambienti di conservazione grazie alla loro scarsa umidità, non hanno custodito solo documenti e iscrizioni. Proprio quella “Grotta delle Lettere” che ha permesso di toccare con mano gli scritti di età romana, anzi, ha protetto per altrettanti secoli un oggetto più unico che raro. L’indumento in questione, infatti, ci racconta un’antica tradizione materna finora inedita.
Scoperta nei primi anni ’60 del secolo scorso, la grotta è stata oggetto degli scavi condotti dal noto studioso Yigael Yadin. La particolarità di questo sito archeologico – accessibile solo dopo aver scalato una parete rocciosa di 15 metri – ha motivato di recente una nuova campagna esplorativa. Quello che ne è emerso è quantomai prezioso. Infatti il frutto delle ultime ricerche, reso noto dall’Autorità Israeliana per l’Antichità, ci consente di intercettare direttamente le tenere premure delle madri ebree del tempo.
Si tratta di una camicia da notte che per le dimensioni si attribuisce certamente a un bambino. L’indumento, realizzato in lino, deriva dall’assemblaggio di due panni cuciti in maniera piuttosto imprecisa e decorati con nodi e fili pendenti ai lati. Proprio quest’ultimo dettaglio, ben altro che un semplice elemento decorativo, ha attirato l’interesse del Dottor Orit Shamir. Esperto tessile dell’Autorità Israeliana per l’Antichità, lo studioso ha ricondotto la presenza delle frange laterali a una pratica rituale molto interessante.
Innanzitutto, spiega Shamir, probabilmente la camicia proteggeva la pelle del bambino da un vestito colorato in lana. I nodi in lino che corrono intorno ai bordi derivano dall’intreccio fra il tessuto e alcune sostanze note per le loro qualità protettive e propiziatorie. Si tratta di resina, sale, solfato di ferro, asfalto, henné e semi. Shamir spiega che il tipo di legatura rivela un’operazione meticolosa, consistente nell’avvolgere più volte un filo di lino attorno a tali materiali.
Si può ipotizzare che i nodi avessero la funzione di proteggere il bambino da malattie e pericoli. La madre, infatti, avrebbe cucito l’indumento recitando preghiere e formule di buon auspicio nei confronti del piccolo. “Si può davvero immaginare una madre che nasconde il sale e la resina legando un pezzo del camiciotto di lino, mentre formula parole piene di speranza per il suo figlio o la sua figlia”, afferma l’esperto. Frutto della tenerezza e della premura di un’antica madre, questo straordinario oggetto ci proietta in una dimensione quotidiana e affettiva senza tempo.