Ancora oggi si parla della catastrofe ambientale avvenuta il 26 aprile 1986, nella centrale nucleare di Chernobyl. Durante un test di sicurezza al reattore n.4 ci fu un incontrollabile aumento della potenza del nocciolo, che provocò un’esplosione senza precedenti.
La pressione del vapore surriscaldato fece saltare il coperchio del reattore del peso di oltre 1.000 tonnellate. All’interno del nocciolo si verificò un terribile incendio che provocò la dispersione nell’aria di detriti e materiale radioattivo. Quest’ultimo si disperse rapidamente nell’area circostante. Poco dopo le nuvole radioattive invasero tutta Europa fino a Grecia e Spagna.
Durante il processo di fusione del reattore si formò un materiale chiamato Corium, simile a lava, una miscela di combustibile nucleare e materiali strutturali provenienti dalle parti fuse del reattore generato dalla loro reazione con aria, acqua e vapore. Il Corium passò attraverso tubi e calcestruzzo e una volta raffreddatosi si solidificò in forma di stalattiti, stalagmiti e flussi lavici. Tra queste formazioni quella più famosa è il ”piede d’elefante”.
Gli scienziati identificarono il piede d’elefante solo nel dicembre 1986. Fin da subito, infatti, costruirono un ‘sarcofago’ d’acciaio attorno alla sede del reattore, per impedire la dispersione delle radiazioni. Questo presentava una serie di punti di accesso per poter eseguire delle ispezioni e, durante una di queste, gli studiosi registrarono livelli di radiazione così elevati da provocare la morte di un uomo in circa 300 secondi. I tecnici utilizzarono una telecamera per capire da dove provenisse questo picco ed è cosi che il ‘piede d’elefante’ venne per la prima volta identificato. Nello specifico si tratta di un ammasso di materiale letale, tanto da provocare nel giro di 30 secondi capogiri e prostrazione fisica, dopo 2 minuti emorragie e dopo 4 minuti vomito diarrea e febbre. Dopo 5 minuti sopraggiunge la morte.
Quello che il ‘sarcofago’ d’acciaio contiene rimarrà radioattivo per i prossimi 100.000 anni, mentre l’area attorno alla centrale non sarà abitabile per i prossimi 100 anni. Eppure, contro ogni aspettativa, studi recenti effettuati in quell’area hanno dimostrato un’inimmaginabile ripopolazione della fauna selvatica. La zona infatti è diventata il rifugio di molti animali che sembrano addirittura godere di ottima salute.