Caliamoci per un solo istante nei panni di una monaca Clarissa del XVII secolo che risiede nel monastero di clausura di Ischia Ponte, a sua volta inglobato tra le mura del bellissimo Castello Aragonese. È mattino presto, ci svegliamo, dedichiamo i primi minuti della giornata alla preghiera. Dopo i consueti servigi alla comunità, ci rechiamo nel cosiddetto Cimitero delle Clarisse, dove riposano le anime delle nostre sorelle. Preghiamo al loro fianco, mentre esse siedono su delle particolari postazioni. Ragioniamo sulla caducità della vita, sul senso della morte, questioni di un certo spessore sì, ma il dettaglio macabro non scompare, perché ci troviamo nella stessa stanza con diversi corpi in avanzato stato di decomposizione…
Tornando nelle nostre vesti, ammettiamo come la scoperta di questa pratica ci abbia quantomeno colpito. Era l’abitudine dalle parti di Ischia e non solo. La messa in piega di un putridarium fu a lungo una consuetudine per le comunità monacensi. Il tutto consisteva nel deporre i cadaveri dei monaci – nel nostro caso monache Clarisse – in delle specifiche nicchie dotate di buchi di scolo.
La carne in disfacimento avrebbe rilasciato dei liquidi i quali sarebbero stati prontamente raccolti. Raggiungere la liberazione delle ossa significava toccare il traguardo della purezza, una purezza dal valore prettamente religioso, sia chiaro. Normalità, tra la fine del XVI secolo e il primo decennio del XIX, per le sorelle del monastero di clausura del Castello Aragonese. All’interno del Cimitero delle Clarisse non si praticava altro che un esercizio di carattere spirituale.
Pur tuttavia si trattava di un esercizio dalle specifiche conseguenze salutari; non era certamente un toccasana trascorrere così tanto tempo in un luogo chiuso e malsano, ecco perché gran parte delle Clarisse finiva per manifestare i sintomi di alcune gravi malattie, la maggior parte delle quali dall’esito fatale.
La pratica spirituale terminò con l’abbandono dell’edificio da parte delle stesse Clarisse. Ciò avvenne durante le guerre napoleoniche. Nel 1809 gli inglesi bombardarono l’isolotto, presidiato dalle truppe francesi. Le palle di cannone distrussero quasi totalmente la fortificazione aragonese, costringendo i già pochi abitanti alla fuga temporanea (l’abbandono definitivo avvenne qualche anno dopo, per decreto di Re Ferdinando I delle Due Sicilie, il quale volle riconvertire il maschio in un penitenziario).
Oggi la camera della morte delle Clarisse è visitabile, ed è parte di un intero complesso dall’inestimabile valore storico-artistico. La stanza ci ricorda quanto potessero essere macabre e lugubre alcune consuetudini religiose, tuttavia anche questa è una componente centrale del nostro incredibile, unico ed eccezionale patrimonio culturale.