Negli anni ’30 a Kowloon, nella regione di Hong Kong, vivevano sì e no poche centinaia di povere persone, in un luogo che di certo non brillava per ricchezza e produttività. Nel 1990, all’apice del suo degrado, la Città Murata di Kowloon contava quasi 50.000 residenti. Beh, detto così non sembra chissà quale peculiarità, ma abbiamo omesso un dettaglio non da poco. Quelle persone, quelle 50.000 anime, vivevano in un labirinto residenziale che si estendeva per 2,6 ettari (0,026km²). Un dato da record, che infatti valse al centro urbano cinese il primato di luogo più densamente popolato al mondo. Ma come si giunse ad una situazione del genere?
In realtà la storia di Kowloon è abbastanza anonima. Per secoli, fino al 1810, da quelle parti non accadde nulla di rilevante. Nell’anno appena citato, l’amministrazione imperiale decise di costruire un piccolo forte per un miglior controllo dell’area, attorno al quale nacquero un paio di casette in legno. La situazione, da un punto di vista strategico, si fece interessante quando la corona inglese, a seguito della Prima Guerra dell’Oppio, mise le mani su Hong Kong. Dall’altra parte della baia c’era la penisola di Kowloon, sulla quale i cinesi avrebbero gradito il mantenimento del controllo. Desiderio rispettato.
Ecco che dal 1842, anno del Trattato di Nanchino, l’impero Qing costruisce una cinta muraria a difesa dell’avamposto di Kowloon. Anche questa volta il dettaglio non è da poco, perché a seguito della Seconda Guerra dell’Oppio e dei conseguenti trattati del 1898 che condussero alla cessione per 99 anni di altri territori attorno ad Hong Kong, ovviamente a favore dei britannici, la penisola di Kowloon fu inclusa negli accordi. O meglio, quasi tutta la penisola, visto che la Cina avrebbe preservato il controllo su quello che ormai era un vero e proprio enclave in territorio di Sua Maestà: la Città Murata.
Uno status quo che durò da Natale a Santo Stefano, perché gli inglesi non ci misero molto a violare il patto e conquistare con la forza quella fortificazione residenziale. La Kowloon inglese durò neanche mezzo secolo, visto lo zampino dei Giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Questi smantellarono molte delle abitazioni del centro urbano riutilizzando i materiali per scopi strategici-infrastrutturali. Comunque il nucleo abitato, per quanto disordinato come non mai, rimane. Finito il conflitto, si apre un contenzioso: teoricamente la zona apparterrebbe alla Repubblica di Cina, ma nell’effettivo è Londra a detenere il controllo. Si giunge ad un accordo nel 1948, un accordo che segnò il vero inizio della fine per la Città Murata.
Ok, il Regno Unito accettava la cessione della città alla Cina ma ad una sola condizione: nessuno avrebbe governato in quel posto. Non serve un intelletto superiore per comprendere che laddove manca l’autorità dello stato, si instaura un altro tipo di potere, criminale e pure organizzato. Furono quindi le triadi mafiose ad accaparrarsi l’amministrazione di Kowloon, favorendo ogni tipo di illecito ed eccesso. Le vie della Città Murata divennero luogo di ritrovo per prostitute, assassini e spacciatori. Mettiamola così, chi voleva scappare dalla legalità, magari per poter cominciare una nuova vita da zero (perché restia nel voler accomodare il comunismo ormai dominante il Cina o per altri motivi) scappava in questo paradiso per l’illegalità, o meglio, in questo inferno con l’abito da città.
Senza tasse, senza leggi, senza alcun organo di controllo, la speculazione edilizia fece il botto. Si costruì ad occhio, non seguendo praticamente nessun piano regolatore. Come funghi, palazzoni di 12, 13 ma anche 14 piani spuntarono in breve tempo. Kowloon si sviluppò verso l’alto, assumendo sempre più i connotati di un “cubo abitato di cemento”. L’esperienza di quell’infernale aggroviglio di palazzi, tubi, cavi, sporcizia e chi più ne ha più ne metta, termina nell’aprile del 1994, con la demolizione previo sgombero della Città Murata. Oggi nell’ex zona abitata c’è un parco dove il colore verde, quello strano verde natura, la fa da padrone.