Quella di Wang Zhaojun è una storia esemplare, forse a tal punto da confondersi con le pieghe della leggenda. Ciò non toglie che le gesta della famosissima principessa cinese siano ancora oggi ricordate con grande rispetto e stima in estremo Oriente. Wang Zhaojun fu una ragazza che si offrì volontaria come sposa di un sovrano mongolo per il bene del proprio paese. Una narrazione che si sposa bene con i canoni morali tipici dell’Impero Han che fu.
La vicenda si svolge durante gli anni della Dinastia Han occidentale, precisamente sotto il regno dell’Imperatore Yuan (48-33 a.C.). Quest’ultimo, che condusse il suo dominio durante un’epoca di pace e prosperità, decise di riformare il suo harem. Per farlo concesse la libertà alle ancelle più in là con gli anni; eppure quel vuoto in qualche modo doveva essere colmato. Così Yuan spedì per tutto il territorio cinese dei funzionari con il solo scopo di trovare le donne più belle dell’impero, donne che potenzialmente sarebbero diventate concubine.
Ovviamente ai funzionari più “meritevoli” aspettava una ricompensa maggiore. Dato l’incentivo, la ricerca fu rapida ed efficace. Uno degli inviati imperiali sentì alcune voci su una bellissima ragazza residente nella prefettura di Hubei, nella Cina centrale. Egli si recò sul posto in gran segreto (perché se si fosse sparsa la notizia, i genitori della ragazza avrebbero fatto di tutto per darla in sposa localmente e quindi rendere invalido il messaggio imperiale) e poté effettivamente constatare la bellezza stravolgente della 17enne, che di nome faceva Wang Chiang – tramutatosi nel nome di cortesia Wang Zhaojun.
Nonostante la reticenza dei genitori, la giovane dal fare colto e dall’impeccabile senso del dovere di stampo confuciano, accettò il suo destino. Così Wang Chiang viaggiò verso la corte di Chang’an, nella speranza di poter essere notata dall’imperatore, divenendo così concubina ufficiale. Al suo arrivo, l’ordine imperiale fu quello di realizzare un quadro per ognuna delle pretendenti, così che la scelta di Yuan fosse semplificata. A causa dell’avidità del ritrattista – il quale chiedeva una somma di denaro maggiore per una miglior fattura del dipinto; richiesta prontamente rifiutata dalla retta protagonista – la bellissima Wang Zhaojun non fu oggetto d’attenzione al vaglio dell’imperatore.
Seguì un periodo di tristezza, incomprensione e sconforto per la ragazza. Attraverso qualche collegamento a corte, ella scoprì l’inganno del ritrattista, ma non agì immediatamente; l’occasione si sarebbe presentata a tempo debito. Di lì a poco il nuovo Chanyu (sovrano) mongolo si sarebbe presentato nella corte imperiale, con doni per l’imperatore e con la richiesta di suggellare la pace tra i paesi con un matrimonio. L’imperatore pensò di dare in sposa la sua primogenita, ma i consiglieri lo fecero desistere; in un momento di grande disagio, in quanto la scelta doveva essere volontaria (e nessuna tra le ancelle voleva andare in sposa ad un barbaro proveniente dalle aride steppe), Wang Zhaojun si offrì per il bene della Cina. Allora l’imperatore Yuan la riconobbe e constatò l’effettiva bellezza della ragazza, al contrario di quello che aveva visto nel ritratto del pittore. Scoperto l’inganno, il malfattore andò in contro alla condanna.
Wang Zhaojun, ancora una volta spinta dal senso del dovere confuciano, si ritrovò a dire addio al paese natale, ai genitori, alle amicizie. Tutto per un bene superiore, del quale lei si fece portatrice. In terra mongola diede alla luce tre figli, un maschio e due femmine. Insieme a suo marito governò con grande lucidità il regno, eppure accadde qualcosa di impensabile. Alla morte del Chanyu, la consuetudine avrebbe voluto che il figlio primogenito prendesse in sposa la moglie del padre, in poche parole la madre. Una consuetudine ritenuta barbara e inaccettabile dalla stessa Wang Zhaojun, che quindi scelse il suicidio all’unione con il sangue del suo sangue. Tra le sue ultime volontà, ci fu quella di essere sepolta al confine tra Mongolia e Cina, le sue due case, il sunto del suo destino, l’anello di congiunzione pacifico tra due paesi talvolta in contrasto violento. Volontà rispettata secondo leggenda.