Una storia che leggiamo tranquillamente tra le pagine de I promessi sposi, anche se riadattata a fini letterari dal Manzoni, quella della Monaca di Monza. La vera storia che forse non tutti conoscono ma che merita di essere raccontata, perché rappresentante uno degli scandali più noti dell’Italia seicentesca. La protagonista ha un nome, tanto pesante quanto altisonante: Marianna de Leyva.
Marianna nacque nel 1575 in una famiglia nobiliare di novella elevazione. Il bisnonno, Antonio de Leyva de la Cueva-Cabrera, servì personalmente Carlo V e grazie a lui entrò a far parte dell’alta aristocrazia, vedendosi assegnata la contea di Monza. Tornando alla pronipote, Marianna fu la figlia di un primo matrimonio. Dettaglio non da poco, perché se ella prese i voti, fu perché il padre si sposò una seconda volta. Capiamo bene la pressione che esercitò l’uomo affinché Marianna entrasse a far parte del mondo ecclesiastico, il tutto per non disperdere il patrimonio (spettante ai figli maschi di seconde nozze).
Come anticipato, Marianna de Leyva nel 1591 divenne monaca benedettina di clausura presso il convento di Santa Margherita. Vista la caratura sociale, furono chiari a tutti i privilegi dei quali la giovane donna godette. Privilegi che le concessero una posizione di rilievo e soprattutto l’opportunità di venir meno alle sue promesse di fronte al Signore. Eh già, perché da quelle parti nota era la fama di Gian Paolo Osio, dongiovanni della primissima ora in grado di conquistare chiunque con il suo inestimabile fascino. Anche lui nobile, cadde dapprima in antipatia agli occhi della Monaca di Monza quando corteggiò (con successo) una novizia del convento. Marianna allora non sapeva che la stessa sorte sarebbe toccata a lei…
Dopo l’allontanamento, voluto dalla stessa maestra educande, Gian Paolo tornò con l’assidua volontà di fare propria Marianna de Leyva. La resistenza della monaca ebbe vita breve. I due iniziarono a frequentarsi e il segreto non fu mai tale. Tutti sapevano e tutti tacevano, perché non aveva senso denunciare due esponenti delle famiglie più potenti della zona. Non ebbe senso almeno fin quando non entrò a gamba tesa nella storia la morte di qualcuno. Prima però c’è dell’altro. Nel 1602 dalla relazione peccaminosa nacque, anche se morto, un bambino. L’Osio lo fece sparire prima che se ne parlasse. Lo stesso evento si ripeté due anni dopo, quando alla luce venne Alma Francesca Margherita, della quale papà Gian Paolo si prese cura con amore. Della bambina non sappiamo più nulla dopo il processo nei confronti dei genitori.
Tuttavia in quei due anni Marianna crollò dal punto di vista fisico e mentale, perché in lei era in atto una lotta: lasciarsi andare al desiderio carnale oppure rispettare il voto fatto in nome di Dio? In virtù di tale dissidio interiore, la Monaca di Monza giunse anche ad atti estremi, come la coprofagia (da lei attestata nelle disposizioni giudiziarie). Ma il peggio doveva ancora venire. Nel 1606, per paura che la storia si diffondesse presso le alte sfere clericali, Marianna e Gian Paolo collaborarono per far sparire una potenziale “talpa” all’interno di Santa Margherita. Il delitto fu il primo di tanti, tutti a carico del nobiluomo.
Gian Paolo Osio uccise svariate volte per tenere segreta la sua relazione (che segreta non era). Alla fine, nonostante lo status dei due, la giustizia volle vederci chiaro. L’amante morì da fuggitivo, perché tradito da un amico. L’ex madre educande invece venne prima trasferita altrove, poi condannata a 14 anni di detenzione all’interno di una cella murata, grande due metri per tre. Sopravvisse e quando uscì dedicò anima e corpo per alleviare i dubbi di chi, come lei, voleva prendere i voti ma soffriva di turbamenti morali. Marianna de Leyva morì il 17 gennaio 1650 ma la sua storia non è stata mai dimenticata.