La storia di oggi ha come oggetto centrale un tema molto conosciuto: l’uomo che si è fatto da solo. Parliamo di Pier delle Vigne, uno dei più importanti funzionari della corte di Federico II di Svevia che proveniva però da una famiglia molto umile e che scalò i ranghi sociali grazie al proprio talento.
Dalle poche fonti a nostra disposizione sappiamo che presumibilmente nacque intorno al 1190, nei pressi di Capua, in una famiglia molto umile, quasi indigente. Nonostante ciò, come sopra accennato, non si limitò a condurre un’esistenza limitata, ma si costruì il proprio futuro.
La sua ascesa fu rapidissima: notaio, giudice imperiale, logoteta e gran giudice di corte. Ciò non è tutto però, il nostro Pier infatti ricoprì un ruolo non sicuramente secondario nella stesura delle famose Costituzioni di Melfi, norme comportamentali dal punto di vista economico e sociale per il Regno di Sicilia.
Pier è famosissimo inoltre per un’altra vicenda, legata questa volta all’Opera Magna di Dante. Stiamo parlando del XIII canto dell’Inferno. Qui il sommo poeta si ritrova in una foresta di alberi spogli e, attratto e sconvolto dalla visione, stacca un rametto da uno di questi. Dalla ferita inizia ad uscire sangue e si rende conto che ad ogni albero corrisponde un dannato.
Ma perché un uomo fattosi da sé finisce all’Inferno? In effetti la domanda è più che lecita e la risposta non è presente nell’interrogativo. Pier delle Vigne è collocato all’Inferno da Dante perché si tolse la vita, non per altre ragioni politiche e comportamentali. Dopo varie accuse e condanne infatti il nostro protagonista decise di togliersi la vita sbattendo violentemente il capo contro la pietra nella prigione in cui si trovava.
Forse giustamente, forse in seguito ad un tradimento ed una congiura, il braccio destro di Federico II fu accusato di alto tradimento, accecato con un ferro rovente e appunto arrestato. Si fece da solo dunque ma a fargli del male ci pensarono gli altri. Se non altro ciò gli valse la presenza nella più grande opera poetica mai scritta.