Negli anni ’40 del Seicento il regno di Spagna, sotto la cui giurisdizione si trovava il vicereame di Napoli, stava affrontando una delle crisi economiche più dure della sua storia. Le spese militari per la Guerra dei Trent’anni e le controversie con il Portogallo secessionista avevano impoverito notevolmente le finanze spagnole. Con la concreta minaccia di una bancarotta, nell’estate del 1647 al viceré Duca d’Arcos non rimase che chiedere ai ceti più umili un estremo sforzo. Dopo anni di crescenti gabelle, era il momento di colpire il più popolare degli alimenti: la frutta. Fu a quel punto che gli operai e i venditori napoletani – guidati da Masaniello – non ressero.
Era il 7 luglio quando un gruppo di commercianti, rifiutandosi di pagare l’imposta sulla frutta, insorse contro i gabellieri. La sommossa prese forza in Piazza del Mercato, dove si rivelò inutile l’intervento del rappresentante del popolo Andrea Naclerio. Al suo ordine di pagare il tributo, infatti, i rivoltosi reagirono con crescenti gesti di violenza, lanciando la frutta in direzione dei palazzi del potere e contro le autorità. A quel punto il pescivendolo Masaniello, al quale era giunta subito la notizia della sommossa, radunò un gruppo di uomini con il quale rinvigorire le fila dei ribelli. Già a quel punto il Duca d’Arcos cominciò a meditare la fuga…
Quando poi gli uomini di Masaniello bruciarono i banchi dei dazi, nascondersi divenne l’unica scelta possibile. Così, mentre il viceré si rifugiava nel vicino Convento di San Luigi, Masaniello progettava l’assalto alle prigioni e alle case dei gabellieri, coadiuvato dal giurista Giulio Genoino. Se Genoino rappresentava la mente, la miccia intellettuale delle rivendicazioni popolari, il ventisettenne era il braccio armato. Tuttavia, aveva dietro di sé una schiera di analfabeti, uomini senza esperienza né in campo politico, né in quello paramilitare. La povertà era il collante di questo gruppo impreparato ma infervorito.
Fra i locali dei gabellieri colpiti dalla furia di Masaniello e dei suoi uomini ci fu anche quello di Girolamo Letizia. Si trattò di un’azione nutrita da remore personali. Per colpa di Letizia, infatti, la moglie del capo rivolta era finita agli arresti (a quanto pare, non aveva pagato la tassa su un pacco di farina). Al di là degli affari di famiglia, Masaniello comunque pensava in grande, e più precisamente a un colpo di stato. Nel frattempo però il Duca d’Arcos, sempre più intimorito dagli affronti armati, stava già allestendo delle trattative. In effetti, poco dopo, un’effimera pace e la promessa dell’abolizione di tutte le tasse permisero a Masaniello di essere nominato Capitano generale del Popolo napoletano. Tuttavia, il napoletano non intendeva ancora deporre le armi. Prima di gridare vittoria, infatti, bisognava attendere l’approvazione della Corona spagnola.
Fu a quel punto, però, che l’esperienza del giovane cominciò a declinare verso la rovina. I contatti con il viceré si fecero più intensi, e con essi crebbero le inimicizie da parte dei potenti. Forse per colpa della presunta reserpina somministratagli dal viceré, forse per colpa di qualcosa che stava diventando più grande di lui, Masaniello cominciò a dare segni di squilibrio. Non era però così folle se, oltre a girare nudo e lanciare coltelli in aria come riferirono, il ventisettenne iniziò a temere il tradimento. La folla, infatti, si era stancata di tutta quella confusione, e dopo una settimana di inattività voleva riaprire botteghe e laboratori. Il 15 luglio, dopo aver subito egli stesso una rivolta da parte dei commercianti, Masaniello ebbe l’ultimo episodio di delirio nella Basilica di Santa Maria del Carmine.
Da quella chiesa, purtroppo, non uscì mai più vivo. Il cardinale Filomarino, che stava recitando la messa quando vide l’ex pescivendolo denudarsi e gridare ai fedeli, lo invitò a trascorrere la notte nella Basilica. La mattina del 16 luglio Masaniello, addormentatosi in un luogo che credeva sicuro, ricevette nel sonno 5 fatali colpi d’archibugio da parte di alcuni suoi ex compagni. Il tradimento, però, era solo all’inizio. Infatti alla notizia della sua morte, diffusasi in pochi minuti, la folla reagì con totale indifferenza. Seppellito in una fossa comune, il suo corpo fu recuperato solo qualche giorno dopo, quando il duca D’Arcos, dimenticando le trattative con il giovane, reintrodusse la tassa sul pane. Solo a quel punto gli insorti, rimpiangendo il caro Masaniello, gli diedero degna sepoltura.