A Tegira nel 375 a.C., così come a Leuttra 4 anni più tardi, fino alla battaglia di Cheronea, nel 338 a.C. si consolidò l’idea per la quale il corpo militare scelto composto da cittadini e guerrieri di Tebe fosse invincibile. E non importa contro chi combattessero – spartani o alleati di quest’ultimi – avrebbero sempre avuto la meglio. Perché a legare gli uomini del Battaglione Sacro Tebano, invitto per un trentennio, ci fu l’amore.
L’omosessualità nell’antica Grecia era cosa nota, normale e sdoganata. Altro non era che amore, puro, semplice e rigenerante amore. Rigenerante è l’aggettivo giusto, perché i 300 guerrieri che infoltivano le schiere del corpo militare non mancavano mai di altruismo, preparazione militare, energia e sacrificio. Eppure l’ingrediente segreto per rendere la ricetta eccellente fu sempre e soltanto uno: l’affetto reciproco.
Platone, coevo del periodo dell’egemonia tebana (371-362 a.C.), scrisse: “Perciò se si trovasse un qualche modo di formare una città o un esercito di amanti e di amati, non sarebbe possibile che costoro governassero meglio la loro Città, tenendosi lontano da tutte le cose brutte e gareggiando fra loro in onore; e, messi a combattere gli uni accanto agli altri, questi uomini, pur essendo in pochi, vincerebbero tutti gli uomini…”.
Ad istituire il corpo speciale dell’esercito tebano fu il comandante Gorgida. Egli scelse personalmente 150 coppie di soldati pronti a tutto pur di difendersi vicendevolmente, perché vincolati da un legame consacrato al Dio Eros. Il battesimo di fuoco fu nella già citata battaglia di Tegira, in cui i guerrieri di Tebe, in inferiorità numerica, riuscirono a mandare in rotta quella perfetta macchina da guerra che era l’esercito spartano.
La cosa si ripeté a Leuttra nel 371 a.C., dopo la quale battaglia iniziò l’egemonia di Tebe. In questo evento bellico i numeri furono superiori al precedente incontro, in quanto 8.000 tebani sconfissero una coalizione a conduzione lacedemone, formata da 11.000 uomini. Attorno al Battaglione Sacro Tebano si costituì un’aurea di invulnerabilità tale da rendere quei 300 uomini leggende. A sgretolare tale nomea ci pensarono i macedoni di Filippo II, padre di Alessandro Magno.
Si giunse alla battaglia di Cheronea, che volse subito a favore delle falangi macedoni. Queste spazzarono via il grosso dei tebani. Sopravvissero allora solo i guerrieri del corpo scelto i quali, accerchiati, non deposero le armi e combatterono fino alla morte. Filippo II li fece seppellire in una fossa comune, facendovi erigere una statua di un leone, a dimostrazione del coraggio tebano. Gli scavi archeologici ci hanno permesso di validare quanto detto dai cronisti greci, assegnando alla storia (e non alla sola leggenda) le gesta del Battaglione Sacro di Tebe.