Sulla Colonna traiana a Roma, si può scorgere un rilievo particolarmente interessante: una scena di battaglia tra romani e cavalieri catafratti, molto probabilmente Sarmati. Essi combatterono contro Roma, stando al fianco dei Daci durante la campagna di Traiano nel dato territorio, ai primordi del II secolo d.C. Ma, esattamente, chi erano questi Sarmati?
Di loro abbiamo notizie intorno al VII secolo a.C., i primi a parlarcene sono i greci (i quali fantasticano sulle loro donne, definendole “guerriere amazzoni”). Da tali scritti, comparati alle ricerche di carattere archeologico, comprendiamo come il popolo dei Sarmati, o per meglio dire, la confederazione tribale dei Sarmati fu di origine iranica. Probabilmente imparentati con gli Sciti, essi predilessero il nomadismo alla sedentarietà.
In un continuo di battaglie e guerre con popoli vicini e concorrenti, i Sarmati si fecero un nome in qualità di guerrieri feroci, particolarmente abili con arco e frecce. Aperti alla cultura persiana, a comporre la confederazione erano numerose tribù, ma le principali furono quattro: Iazigi, Roxolani, Aorsi e Alani. Esse vivevano in una zona compresa ad est del Don e a sud degli Urali.
Quando questo popolo nomade entrò in contatto con i romani, colpirono in particolar modo per le abilità a cavallo dimostrate negli scontri. Si dice abbiano influenzato la composizione dei futuri reparti di cavalleria (non proprio il fiore all’occhiello della macchina militare romana). Anzi, per un periodo di tempo servirono proprio come ausiliari, combattendo per Marco Aurelio in Britannia, solo per fare un esempio.
Con il trascorrere dei secoli, soprattutto dopo la dissoluzione della parte occidentale dell’impero romano, i Sarmati a loro volta vissero dei fortissimi dissidi interni. Guerre intestine, interessi contrastanti e chissà quali altri problemi condussero al tramonto la leggenda dei guerrieri sarmati. Vogliamo però lasciarvi con la descrizione di un autore romano, Ammiamo Marcellino, che così parlava dei Sarmati.
“Esperti più in razzie che in campo aperto, portano aste più lunghe del consueto ed indossano corazze formate da piastre di corna raschiate e levigate, adattate come piume sulle loro vesti di lino. I loro cavalli vengono spesso castrati, al fine di evitare che si imbizzarriscano o nelle imboscate, divenuti focosi, non tradiscano i loro cavalieri con frequenti nitriti. Montano questi cavalli veloci ed obbedienti, cavalcano per spazi immensi quando inseguono i nemici o se sono in fuga“.