La Sicilia vede nel suo periodo classico uno dei momenti di massimo splendore. Una colonia della Magna Grecia che fu un vero e proprio laboratorio culturale e artistico, anche avanguardistico rispetto alla madrepatria. Personaggi grandiosi e opere d’arte raffinatissime hanno caratterizzato i secoli greci e romani. Nel particolare, Siracusa è un vero e proprio forziere di “grecità”. Un’antica cava di pietra, custode di numerosissime leggende, ne è uno degli esempi più significativi, parliamo dell’Orecchio di Dionisio. Ci troviamo nel Parco Archeologico di Neapolis: un’area in cui dimorano reperti archeologici risalenti a più periodi, ma soprattutto greci e romani.
Per dimensioni e per importanza dei resti che custodisce è uno dei siti più rilevanti di tutto il Mediterraneo. Anche se questa è solo una piccolissima parte di ciò che era Siracusa in epoca greca. Il reperto si presenta con un’altezza di 23 metri, una larghezza di 11 e una profondità di 60. L’Orecchio di Dionisio da sempre affascina turisti e curiosi. Il nome lo ricevette da Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio durante una sua visita nel 1608 in compagnia dello storico Vincenzo Mirabella. La sua forma gli ricordò immediatamente un orecchio, mentre l’opera si attribuì al tiranno Dionisio.
La leggenda narra che il Tiranno usasse questo luogo per rinchiuderci i suoi più accesi oppositori politici. Tramite un piccolo canale si riusciva ad ascoltare tutto ciò che accadeva al suo interno. Al suo interno i suoi si amplificavano fino a 16 volte. Sembrerebbe che in questo modo il tiranno sventò numerosi colpi di stato e congiure ai suoi danni, riuscendo a mantenere il potere politico per molti anni.
Tra i prigionieri più illustri figura Filosseno, un poeta accusato di non apprezzare le opere letterarie dello stesso tiranno. Proprio qui l’autore compose una delle sue opere più celebri: Il Ciclope. Alcuni storici credono che non avesse funzioni di spionaggio, bensì che servisse come “effetto speciale” per il teatro greco adiacente alla grotta.