Dannato, affascinante (non propriamente bello), talentuoso, sempre al centro dell’attenzione. Ecco cosa fu Niccolò Paganini, uno degli artisti più influenti della prima metà del XIX secolo. Il primo aggettivo, senz’altro, occupa un posto speciale nelle svariate narrazioni create sul suo conto nel corso dei secoli. Perché la bravura del violinista genovese non aveva nulla a che fare con il mondo terrestre, andava oltre.
La dannazione eterna dell’anima in cambio della perfezione artistica in vita. Un patto col diavolo, insomma. È quanto molti imputarono al Paganini, e lui, divertito dalle leggende venutesi a creare, non si azzardava a negare. Ma il problema di una tale nomea si palesa tanto in vita…Quanto a morte sopraggiunta. Ma come giunge Paganini al trapasso? Come si spegne una stella del panorama musicale europeo, che per anni ha letteralmente incantato le platee?
Semplice: cure sballate per problematiche salutari non del tutto accertate. Il mercurio allora era la spada contro un mostro chiamato sifilide, ma brandendo l’arma bianca, Paganini si incamminò verso la fine. Già dal 1834 le condizioni di salute iniziarono a peggiorare seriamente. I medici diagnosticarono la tubercolosi. Paganini, che in vita aveva realmente amato solo due cose, la musica e suo figlio Achille, cercò di affidare a quest’ultime il senso della sua sgocciolante esistenza. Nel frattempo il mercurio e altre medicine continuarono a fare il loro tragico effetto.
Nel 1837 il violinista non parla neanche più, tanto è consumato dalla malattia. Il figlio Achille vi resta accanto, interpreta e traduce, fino alla fine. Fine che sopraggiunge a Nizza, nel 1840, non prima che l’artista si penta dei propri peccati. Ma qualcosa va storto perché il prete che deve assolvere l’anima nell’estrema unzione segnala qualche irregolarità nella pratica. Sarà l’aspetto coniugato alla fama del violinista, sarà il fatto che non parla per cause di forza maggiore. Alla fine Paganini si spegne a 58 anni. E qui entriamo nell’oggetto della nostra narrazione: la sepoltura.
Una questione in salita fin da subito. L’ecclesiastico incaricato dell’estremo rito cristiano afferma che Niccolò Paganini ha rinnegato i sacramenti. Un assist perfetto per il vescovo nizzardo, già convinto della natura demoniaca di quell’insulso musicista da 4 soldi. Sepoltura vietata in terra consacrata. Il conte di Cessole, tutore del figlio Achille, fa imbalsamare il corpo dell’amico, per poi spostarlo nella cantina della sua abitazione.
Si succedono i mesi. La collocazione della bara diventa un affare burocratico tra Nizza, Genova, Torino e alcuni magazzini sperduti in Costa Azzurra. Nonostante ciò, esiste ancora una folla adorante che marcia in pellegrinaggio per vegliare sul corpo marcio di Paganini, ehm, del Dio Paganini. La situazione sembra sbloccarsi nel 1844, quando la salma viene interrata in un appezzamento di proprietà della famiglia, nell’entroterra genovese. Ma il figlio Achille vuole papà vicino, a Parma. Altro trasferimento nel 1853 nel cimitero di Gaione. Però nell’aria c’è odore di “provvisorietà”. Eh sì, perché finalmente la Chiesa annulla la proibizione del 1840 sotto pressione di Achille, e a 32 anni dal decesso Niccolò Paganini trova finalmente la pace nel cimitero della Villetta di Parma. E morirono tutti felici e contenti.