Di tecniche bizzarre dei nostri antenati ne sentiamo parlare spessissimo. Dalla tortura, alla vita quotidiana e nei più disparati ambiti, ci furono modi di fare che ad oggi risultano a dir poco strani. Uno di questi è senza dubbio quello dei clisteri di fumo.
Ebbene si, si tratta proprio di quello che state pensando. Nel 1700, per oltre un secolo, divenne uso comune utilizzare tale tecnica di rianimazione per le vittime di annegamento. La cosa era presa molto sul serio, al punto che chiunque navigasse quotidianamente le acque del Tamigi conosceva i punti in cui era dislocata l’attrezzatura medica necessaria alla tecnica. Lo stesso valeva per i canali di Venezia.
Ma come si arrivò a questo? La domanda non ha una risposta precisa, ma pare che all’epoca venne teorizzato che la nicotina potesse essere un forte agente stimolante ed inoltre il calore soffiato tramite la canula poteva servire a riscaldare il corpo ed asciugare l’eccessiva umidità dovuta al bagno finito male.
La prima testimonianza di utilizzo della tecnica risale al 1746. Un uomo, fumatore abituale, la mise in atto con la sfortunata moglie, annegata in Inghilterra. Avendo sentito parlare probabilmente della tecnica, sfilò di tasca la sua canula e la infilò nel retto della moglie. Incredibilmente la risvegliò soffiandoci dentro.
Inoltre, il medico e botanico inglese Nicholas Culpeper brevettò un oggetto apposito. Per evitare che per errore del materiale a dir poco non raccomandabile finisse nella bocca di chi praticava la bizzarra tecnica, creò un clistere molto più sicuro dal punto di vista igienico. In ogni caso, da metà XIX secolo, l’uso della pratica fu sempre minore, sconsigliato da sempre più medici.
Sembra che l’ultimo caso di applicazione del clistere da fumo risalga a tentativi disperati di rianimazione durante l’epidemia di Spagnola, nel 1918. I progressi della medicina (per fortuna direi) consentono oggi tecniche migliori e più efficaci e dunque non ci resta che dire che chi affogava nel XVII e XVIII secolo era un bel po’ sfortunato, soprattutto se la rianimazione non andava a buon fine.