Gli anni che vanno dal 1839 fino al 1949 sono conosciuti, almeno dalla storiografia cinese, come il “Secolo dell’Umiliazione“. Ci si riferisce a questo arco temporale come un periodo di sottomissione da parte dell’Impero Qing – poi Repubblica Cinese – all’imperialismo occidentale, accusato (non a torto) di aver causato ingenti danni al sistema nazionale nonché di aver calpestato l’orgoglio cinese.
Il secolo dell’umiliazione, secondo alcuni storici orientali, non è terminato con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. L’ultimo tassello, affinché i “Cent’anni di umiliazione nazionale” possano considerarsi riscattati, sarebbe Taiwan (di cui già vi abbiamo parlato in un’articolo precedente). Se fino ad adesso abbiamo colto i riferimenti storiografici cinesi in merito alla questione, ora cercheremo di capire se davvero si possa parlare di umiliazione e, se sì, secondo quali motivazioni.
L’anno da cui sarebbe partito tutto corrisponde all’inizio delle Guerre dell’Oppio (la prima 1839-42, la seconda 1856-60). A seguito di questi conflitti, la penetrazione politica, militare, amministrativa e, cosa più importante, commerciale straniera si sarebbe sviluppata progressivamente negli anni a venire. Alla base di questa ingerenza troviamo i cosiddetti “trattati ineguali“, ovvero accordi favorevoli alle sole potenze straniere, alle quali era permesso lo sfruttamento dei territori cinesi.
A causa di questi trattati ineguali la Cina perse territori come la Manciuria esterna a favore di una penetrazione russa. L’influenza sull’Indocina a causa della spinta francese. Gli inglesi che mantenevano dei privilegi commerciali e fiscali non indifferenti nelle più importanti città portuali del paese. Il Giappone, che scatenò una guerra per il controllo della Corea. La soppressione della rivolta dei Boxer, dopo la quale le potenze imperialiste rafforzarono le loro pretese sul territorio della Cina imperiale.
Dopo i primi anni del ‘900 la vera spina nel fianco cinese sarebbe stata quasi esclusivamente il Giappone. Il paese del Sol Levante, una volta ammiratore dell’esempio cinese, ora faceva di tutto per sottomettere politicamente e militarmente il grandissimo e fragilissimo paese. Ne sono un esempio le note 21 richieste presentate dal Giappone alla Repubblica di Cina, atte a trasformare il paese in un “vassallo” dello stato nipponico. Dal diktat si passò alle maniere forti con la questione della Manciuria e all’invasione vera e propria del 1937.
Quindi sì, abbiamo modo di credere che di umiliazione possa trattarsi. Durante il periodo appena descritto la Cina conobbe una spaventosa frammentazione interna, alla quale seguirono atti di concessione economica, territoriale e politica. Non è nostra intenzione fornire dei giudizi o dei pareri personali in merito alla questione, quanto più spiegare una visione storiografica dell’intera vicenda, una visione troppo spesso ignorata.