La paura di un’avanzata militare verso ovest da parte dell’Unione Sovietica mise in trepidazione i cuori degli alti vertici NATO. Durante gli anni della Guerra Fredda si prendeva in seria considerazione l’idea che Mosca potesse tentare un attacco via terra passando per l’ex Jugoslavia (anche se Stalin e Tito ruppero i rapporti d’amicizia fin dal 1948). Urgeva perciò una linea difensiva in grado di fermare il pericolo rosso: gli specialisti individuarono la linea nella cosiddetta “Soglia di Gorizia”, oltre la quale troviamo il bunker di cui vogliamo parlarvi.
Un bunker, quello di San Michele, situato nel comune di Savogna d’Isonzo (Gorizia). Il complesso fortificato – perché di quello si tratta – sorse nei primi anni ’60 come risposta a quella paura di cui vi abbiamo parlato qualche riga più sopra. Aderendo alla NATO nel 1949, il nostro paese accolse il piano di fortificare il vallo alpino a nord-est.
Di fatto questa zona diventava la prima linea di difesa dell’intero blocco occidentale, mica briciole. Il compito di presidiare il bunker di San Michele sarebbe spettato alla “Fanteria d’Arresto”. Questa avrebbe potuto sfruttare, oltre che alla casamatta, altri fortini più piccoli, nonché vantaggi naturali rappresentati da vallate, corsi d’acqua e ovviamente i rilievi montuosi.
Ma esattamente, come l’abbiamo costruito questo bunker? La tecnica è semplice: scava, costruisci, sotterra. Facendo così, gli ingegneri hanno dato vita ad una struttura solida composta da un centro di comando e osservazione, 5 postazioni per mitragliatrici sotto una cupola ben corazzata, oltre che due piazzole per mortai.
Il personale di guardia non risiedeva proprio nel bunker, ma in una piccola caserma poco lontano. La domanda sorge spontanea: nell’atto pratico, quanto sarebbe stato utile questo complesso fortificato contro l’avanzata sovietica? lecito chiederselo, ma la risposta parte da un presupposto ben delineato. L’obiettivo non era “fermare” l’eventuale assalto nemico, quanto più far perdere il maggior numero di giorni possibili.
Così si sarebbe dato tempo alla successiva risposta NATO, ma qui stiamo parlando di ucronie, non di vera e propria storia. Sorridiamo all’idea che una linea fortificata, persa nel Carso friulano, avrebbe rappresentato per l’Alleanza Atlantica, la prima e più solida difesa contro il pericolo rosso.