Almanacco del 19 aprile, anno 1960: in Corea del Sud infuoca la rivoluzione del 19 aprile, anche detta rivoluzione d’aprile. I moti insurrezionali capeggiati da gruppi organizzati di studenti e lavoratori portarono alla caduta del regime autocratico di Syngman Rhee e all’avvio di una fase transizionale verso l’instaurazione di una libera democrazia. Il momento è stato e continua ad essere di cruciale importanza per la storia del paese asiatico.

In qualità di presidente eletto, Syngman Rhee governava la Corea del Sud dal 1948. Sfruttando a dovere tutti gli strumenti del potere a sua disposizione, governò con metodi sempre più autoritari, usando l’anticomunismo per giustificare repressioni, arresti arbitrari e censura. Per dirla in poche parole, il decennio ’50 fu quello in cui Rhee consolidò un potere presidenziale pressoché assoluto; a ciò bisognava aggiungere una condizione socio-economica drammatica per il paese, afflitto da una disoccupazione giovanile da record e debilitato dai sempre meno incisivi aiuti finanziari statunitensi.
A dilaniare il tessuto politico e sociale della Repubblica di Corea era anche una corruzione diffusa e generalizzata. Brutale esempio di ciò furono le elezioni presidenziali del 1960. Un 85enne Syngman Rhee si candidò per il quarto mandato, violando platealmente le norme costituzionali che di mandanti ne prevedevano massimo tre. Nonostante ciò, ai nastri di partenza per la tornata elettorale si presentarono in tre. L’autoritario Rhee, il progressista Cho Bong-am e il socialdemocratico Cho Pyong-ok. Il secondo fu accusato di essere un comunista, imprigionato e giustiziato nel 1959. Il terzo morì d’infarto negli Stati Uniti, dove si era recato per operarsi allo stomaco. Che strano…

Per la vicepresidenza (che in Corea del Sud si votava a parte rispetto alle presidenziali) si candidò il protégé di Rhee, Lee Ki-poong, e Chang Myon, ex ambasciatore negli USA durante la guerra di Corea. Sempre in quel marzo del 1960, Lee stravinse il confronto, con più di 8 milioni di voti contro il milione scarso di Chang Myon. Il popolo sudcoreano giudicò anomalo il risultato, etichettandolo come fraudolento.
In effetti le indagini portate avanti dall’opposizione svelarono l’entità dei brogli elettorali e delle falsificazioni su larga scala. A Masan, città nel sud del paese, gli studenti inscenarono proteste che furono represse nel sangue dalle autorità. Nei primi di aprile un pescatore ritrovò il cadavere di uno studente ucciso dalle forze dell’ordine durante le manifestazioni. Nonostante il tentativo del regime di non far circolare la notizia, l’AP la rese di dominio pubblico, suscitando asprissimi risentimenti in tutta la nazione, oltre che nel mondo.

Il 19 aprile migliaia di studenti e lavoratori fecero partire un corteo che dall’Università di Seul puntava alla Casa Blu, sede presidenziale. La richiesta era una ed una soltanto: le dimissioni di Syngman Rhee. Di fronte ai circa 100.000 manifestanti, il presidente proclamò la legge marziale, delegando alle forze dell’ordine preposte la risoluzione della questione. La polizia quindi aprì il fuoco sulla folla, uccidendo 180 persone e ferendone a migliaia. Gli eventi del 19 aprile 1960 fornirono la giusta motivazione al resto della popolazione sudcoreana per scendere in piazza. Anche per questo motivo la rivoluzione d’aprile in Corea del Sud è considerata prima di tutto un partecipatissimo movimento popolare di contestazione pacifica.
Il 26 aprile Rhee, che nel frattempo aveva perso anche l’appoggio dell’esercito e degli industriali, annunciò le dimissioni. Subentrò il vice presidente Lee Ki-poong, il quale tuttavia esercitò la sua autorità per 48 ore, prima di morire assassinato per mano del suo stesso primogenito. A quel punto il parlamento prese le redini della situazione, smembrò la carica del presidente delle sue normali facoltà e bilanciò gli equilibri di potere fra lo stesso presidente, il primo ministro e la camera. Tra le più rosee e ottimistiche aspettative nasceva la Seconda Repubblica di Corea.

La storia, per chi già sa, fu tutt’altro che rosea e ottimistica per il Paese, che neppure un anno dopo ripiombò nell’autoritarismo di matrice militare. Questa però è un’altra storia, di cui però già conosciamo la fine, vero?