Fotografia di Paul Williams, sito archeologico di Ḫattuša, Boğazkale, Turchia, 9 gennaio 2025. Con il trascorrere degli ultimi decenni, innumerevoli sono state le fotografie scattate alla cosiddetta “pietra dei desideri” di Ḫattuša, l’antica capitale dell’Impero ittita. Sarebbe strano immaginare uno scenario diverso da questo; un contesto in cui nessuno, ma proprio nessuno, si pone il dubbio sulla provenienza, il significato e il valore del cubo monolitico al centro di uno dei siti archeologici più importanti della Turchia e in generale del mondo. La fotografia mi permette quindi di raccontarvi alcuni aspetti noti della sua storia e di toccare in breve gli aspetti vaghi, se non del tutto sconosciuti, del suo passato.

I resti di almeno 31 templi sopravvivono ancora oggi in quel di Ḫattuša. Un numero elevato, si potrebbe pensare, ma che andrebbe contestualizzato da un punto di vista strettamente storico e cronologico. La fondazione della capitale ittita si colloca intorno al III millennio a.C. anche se insediamenti nell’area risalgono al VI millennio a.C. La città si affermò come fondamentale polo culturale, commerciale e politico nella tarda Età del Bronzo; centro influente di un impero dominante nel Medio e nel Vicino Oriente fino al 1350 a.C. quando crollò sia per ragioni interne che esterne. Ḫattuša passò dall’essere un florido centro urbano di circa 50.000 abitanti ad una piccolissima cittadina spopolata e in procinto di essere definitivamente abbandonata intorno al 1200 a.C. Nonostante ciò, qualcosa del fasto antico è sopravvissuto fino ai giorni nostri.

Uno dei 31 templi di cui si conserva traccia prende il nome di “Grande Tempio” o “Tempio 1”. Esso si erge su una piattaforma rialzata e misura 65 metri in larghezza per 42 metri in lunghezza. Non si ha la certezza assoluta, ma gli esperti ritengono che l’edificio fosse dedicato al culto della dea del sole (Tarinna) e del dio della tempesta (Tarḫunna). La “pietra dei desideri” o più semplicemente “pietra verde” si trova sull’estremità meridionale del tempio, vicino il cancello d’ingresso. Originariamente doveva essere locata all’interno di un’apposita stanza, anche se gli archeologi sospettano che la sua prima collocazione fosse diversa da quella odierna.

Il cubo monolitico, alto 69 cm e pesante una tonnellata, è composto da nefrite, un minerale molto simile alla giada ma non del tutto identico. Questo è quello che sappiamo e che in un certo senso può essere comprovato. Si sfocia nel campo dell’ipotetico quando iniziamo ad analizzare la funzione o lo scopo della pietra dei desideri.
Già solamente il nome è tutto un programma. Non esistono iscrizioni o documenti (neppure posteriori) che descrivano il monolite. Gli abitanti locali la chiamano “pietra dei desideri” in virtù di una leggenda folkloristica che vede la pietra essere fonte di fortuna e buon auspicio. Sebbene sia divenuta di grande interesse turistico, sono più le domande che le risposte sul conto del blocco di nefrite – ed è forse questo il principale fattore del successo mediatico.

Archeologi e storici negli anni hanno avanzato diverse ipotesi; tutte valide, per carità, ma nessuna supportata da qualche prova concreta. Che la pietra verde di Ḫattuša assolvesse ad una funzione cultuale? Che gli Ittiti la utilizzassero come piedistallo di una statua? O forse doveva essere solamente un oggetto d’arredo? Ipotesi, nient’altro che ipotesi. A meno di incredibili ribaltoni, la vera natura della pietra dei desideri non verrà mai a galla. Rimarranno tuttavia delle fotografie splendide e suggestive. Magra consolazione, però oh, meglio di niente.