Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports potrebbe aver finalmente riportato la pace in una disputa accademica che da anni ormai si trascina. Stiamo parlando di quella relativa a come si sia formato il cosiddetto “cervello di vetro” all’interno del cranio di un uomo morto a Ercolano durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Il misterioso cervello di vetro

Intorno alla metà degli anni Sessanta, gli archeologi trovarono a Ercolano i resti di un uomo morto durante l’eruzione del Vesuvio. L’uomo era rimasto vittima del vulcano mentre si trovava su un letto in un edificio del Collegium Augustalium, istituzione civica dell’epoca nata per promuovere il culto dell’imperatore romano. Curiosamente il cervello di questo uomo si era trasformato in vetro.
Il che ha scatenato un vero e proprio dibattito: come era possibile una cosa del genere? In linea teorica, infatti, i flussi piroclastici di cenere e gas che lo seppellirono non solo non erano abbastanza caldi, ma non si sarebbero neanche potuti raffreddare così velocemente da permettere al cervello di vetrificarsi.
Ma adesso, grazie al nuovo studio, i ricercatori hanno fornito una nuova, papabile spiegazione. Infatti tutto ciò si sarebbe potuto verificare se i flussi piroclastici fossero stati immediatamente preceduti da una nube di cenere surriscaldata. Proprio questa nube avrebbe prima riscaldato rapidamente e poi altrettanto velocemente raffreddato il cervello dell’uomo, proprio durante la dissipazione della nube stessa. E questo avrebbe trasformato il cervello in vetro.

In realtà c’è chi ha sempre sostenuto che il cervello di vetro non contenesse affatto tessuto cerebrale. Ma il nuovo studio, oltre a spiegare le meccaniche dell’accaduto, ha anche dimostrato che al suo interno erano presenti resti di cellule cerebrali.
La nuova teoria non è campata per aria: è supportata da prove ben precise. Così come spiegato a Live Science da Guido Giordano, geologo e vulcanologo presso l’Università Roma Tre e principale autore dello studio, frammenti di carbone ritrovati vicini ai resti dell’uomo di Ercolano indicano che si siano sviluppati diversi eventi di riscaldamento durante questa fase dell’eruzione, con temperature più elevate associate alla prima nube di cenere rovente emessa dal Vesuvio.
In realtà nubi del genere sono documentate anche recentemente. Ne hanno registrate alcune durante l’eruzione del monte Unzen, in Giappone, nel 1991 e durante quella del vulcano Fuego in Guatemala, nel 2018.

Le nubi di cenere iniziali contenevano poco materiale vulcanico. Il che non vuol dire, però, che non fossero devastanti. Avendo temperature altissime, erano comunque fatali. Secondo i ricercatori, la nube di cenere iniziale che seppellì Ercolano superava i 510°C. Inoltre all’inizio era rovente, ma poi si raffreddò molto velocemente. Questo permise al cervello dell’uomo di diventare di vetro.