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La catastrofe di Nedelin e quell’enorme palla di fuoco

Un enorme palla di fuoco e 74 morti fu l’esito di quella che divenne nota come la catastrofe di Nedelin. Si trattò di un incidente occorso sulla rampa di lancio del cosmodromo di Bajkonur, lo stesso dal quale lanciarono Gagarin per il suo giro orbitale intorno alla Terra. Durante lo sviluppo del missile intercontinentale R-16 qualcosa andò orribilmente storto, causando una strage.

Cosa causò l’incidente di Nedelin?

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Linar Khalitov, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Era il 24 ottobre 1960 e si era in piena Guerra Fredda. In quel periodo l’Unione Sovietica cercò di sviluppare dei missili capaci di poter trasportare le testate nucleari, in modo similare a quanto fatto dagli Stati Uniti con gli HGM-25A.

All’epoca, infatti, i principali missili sovietici erano gli R-7, difficili da gestire. Servivano rampe enormi e costose per lanciarli e richiedevano una preparazione di circa 30 ore prima del lancio, visto che dovevano essere riforniti di ossigeno liquido. Così ecco che Chruščëv diede incarico al progettista Michail Kuz’mič Jangel’ di reare dei nuovi missili. Responsabile del progetto fu il generale Mitrofan Nedelin.

Si cominciarono così a testare i nuovi R-16, missili balistici intercontinentali a due stadi. I suoi motori usavano ipoazotide e dimetilidrazina asimmetrica e riuscivano a fare rifornimento in pochi minuti prima del lancio. I due composti dovevano essere tenuti separati in appositi serbatoi prima di essere immessi nella camera di combustione.

Qui, venendo a contatto, ecco che avrebbero generato una reazione tale da permetterne il lancio. Per consentire ai fluidi di arrivare a destinazione si usavano degli appositi dischi. Questi potevano essere usati una sola volta in quanto, durante il lancio, erano distrutti. Peccato solo che il funzionamento di tali dischi non fu mai esaminato fino in fondo. Non solo non erano forniti di un sistema elettronico che permettesse di capire se i dischi fossero davvero esplosi al momento del lancio, ma anche durante i vari test di laboratorio, non chiedeteci perché, il loro funzionamento fu solamente simulato tramite alcune lampadine.

Presagite già il potenziale disastro, vero? Il 23 ottobre 1960, alle ore 8.00, ecco che posizionarono l’R-16 sulla rampa di lancio 41 nel cosmodromo di Baykonur. Si sapeva benissimo che la procedura di rifornimento era notevolmente pericolosa, ma nonostante questo più di 150 persone erano presenti sulla rampa di lancio. Fra di loro c’erano Nedelin e il progettista.

A causa di alcuni problemi collegati ai dischi, il progettista prese una decisione che, col senno di poi, si rivelò sbagliatissima. In pratica scelsero di far esplodere i dischi a terra, subito dopo il rifornimento. Per controllare che tutto fosse andato bene, avrebbero posizionato vicino dei tecnici in modo da sentire il fluire dei composti nei condotti. E le misure di sicurezza mute proprio!

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Crediti foto: @Linar Khalitov, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Così all’interfono qualcuno annunciò l’esplosione dei dischi del primo stadio. Solo che, al posto di sentire queste esplosioni, i tecnici sentirono quelle del secondo stadio e, immediatamente dopo, uno strano colpo sordo proveniente dal primo stadio. Questo rumore era causato dall’attivazione non voluta della valvola di esclusione. Come se non bastasse, pare che il pannello di controllo indicasse un non corretto isolamento dalle variazioni di corrente e forse ci fu pure una perdita di combustibile.

Nonostante il non corretto funzionamento delle cariche che dovevano far esplodere i dischi in sequenza, ecco che i sistemi del secondo stadio entrarono comunque in modalità lancio, attivando la batteria e iniziando la sequenza. I tecnici così scollegarono la batteria, bloccando la sequenza. Si discusse così se rispedire il missile in fabbrica per i controlli del caso, ma Nedelin fu categorico: quel lancio doveva essere fatto. E lo rimandò così il giorno successivo, il 24 ottobre.

In teoria, entro la mattinata del 24 ottobre, i tecnici fecero le riparazioni del caso. Si arriva così alle ore 18.45, mezz’ora prima del previsto lancio. In quel momento un tecnico stava riprogrammando la centralina dei controlli di volo durante la fase di pre-lancio. Ma in quel momento, senza alcun preavviso, i motori del secondo stadio si accesero. Questa imprevista accensione investì il primo stadio che, pieno zeppo di combustibile, esplose in una palla di fuoco gigantesca. Il calore sprigionato superò i 1.650°C e la palla infuocata fu visibile a 50 km di distanza.

L’esplosione durò 20 secondi, investendo e riducendo in polvere Nedelin che si trovava vicinissimo al missile. Ma non solo: l’esplosione uccise sul colpo tutti i tecnici che stavano lavorando attorno al missile, nonché politi e industriali che assistevano al lancio.

Le stime parlando della presenza di 250 persone su quella rampa di lancio, fra civili e militari. 74 morirono subito, mentre altri 50 perirono nei giorni successivi a casa delle ferite riportate. Intanto un operatore che stava riprendendo il tutto, fece accidentalmente partire le telecamere posizionate accanto alla rampa di lancio. Ecco perché esistono immagini dei momenti successivi all’esplosione.

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Crediti foto: @CC BY-SA 3.0 , tramite Wikimedia Commons

Nella disgrazia, ci fu almeno una piccola consolazione: visto che era un lancio di prova, il missile non era armato con le testate nucleari. Altrimenti il bilancio delle vittime sarebbe stato molto più alto. La successiva inchiesta che ne seguì, attribuì la colpa dell’accaduto a un problema nel sistema elettronico di controllo del volo. Questo mentre Chruščëv cercò subito di coprire l’incidente, sostenendo che Nedelin fosse morto in un incidente aereo.

Nel 1963, poi, proprio sulla piattaforma in cemento della rampa di lancio, venne posto un cippo commemorativo con i nomi dei caduti (almeno, con quello delle salme riconosciute, perché di 55 salme ancora si ignora l’identità).