Durante l’era ellenistica, una città, tutto sommato piccola e scarsamente influente, fu in grado di destreggiarsi tra le contrastanti ambizioni palesate da potenze di gran lunga superiori e di sfruttarle a proprio favore. Espressione manifesta di una sublime arte, quella della politica, direbbe qualcuno. Quella città, situata su un’altura dominante sulla valle del fiume Kaikos, nell’Anatolia occidentale, era destinata a grandi cose. La storia del Regno di Pergamo e dalla sua dinastia dominante, gli Attalidi, è una vicenda ricca di curiosità, aspetti poco noti dell’antichità classica e di retroscena fin troppo spesso sottovalutati. E allora perché non porre in risalto ciò che spesso passa in sordina?

Sul come e sui perché della nascita dei regni ellenistici si è scritto tanto, in questa come in altre sedi. Ragion per cui taglierò corto. Dopo la morte di Alessandro Magno (323 a.C.), i suoi generali si contesero i territori del vasto impero, dando origine ai cosiddetti regni ellenistici. I tre più importanti li dovremmo saper recitare a memoria, un po’ come se fossero protagonisti di una filastrocca: Macedonia antigonide, Egitto tolemaico, Impero seleucide.
Non che il mondo del IV-III secolo a.C. fosse composto esclusivamente da queste tre forze, per quanto egemoni sul territorio. Esistevano all’infuori di esse una pletora di staterelli le cui relazioni con le grandi potenze dipendevano dagli equilibri di potere, frequentemente mutabili. Pergamo era una di queste piccole realtà dell’Asia Minore. A cavallo tra IV e III secolo a.C., la città-stato fece formalmente parte dell’Impero seleucide. Si trattava però di una dipendenza di facciata, affatto sostanziale. La larga autonomia di Pergamo si trasformò in totale indipendenza nel 282 a.C.

In quell’anno Filetero, tesoriere del diadoco Lisimaco (uno dei generali più validi al seguito di Alessandro Magno), prese il controllo di Pergamo. Lo fece sfruttando un momento di grande caos politico e militare che stava riguardando la regione. Filetero, “sovrano” (le virgolette sono dovute al fatto che né lui, né i suoi immediati successori pretesero il titolo di re, ma lo furono de facto) di Pergamo dal 281 fino al 263 a.C. è considerato il capostipite della dinastia Attalide.
Sul suo conto vanno spese due parole. La biografia del primo Attalide è abbastanza vaga, ma qualche informazione verosimile si può lo stesso ricavare. Figlio di un soldato macedone di cui si conosce solo il nome, Attalo, e di una donna proveniente dalla Paflagonia (Anatolia settentrionale), Filetero era un eunuco. Come lo diventò non è dato saperlo. Gli storici si dividono su posizioni antitetiche, ma una delle versioni più accreditate vede il primo degli Attalidi perdere i testicoli in giovane età, si dice vittima di una calca. In quanto eunuco non si sposò e non ebbe figli, ma adottò suo nipote Eumene come diretto discendente. Quest’ultimo ne ereditò il potere, continuando a non fregiarsi del titolo regale. Non capita spesso di sentire la storia di una dinastia regnante fondata da un castrato.

Del regno di Eumene I (263-241 a.C.) non sappiamo moltissimo, se non che cercò più volte di espandere i confini del proprio dominio. Mentre gli Attalidi passarono alla storia per un’effettiva assenza di conflitti intra-dinastici, l’Asia Minore sotto l’egida dei Seleucidi divenne una polveriera di conflitti tra membri della stessa famiglia. Tuttavia non si deve sovrastimare l’influenza che Pergamo ebbe in questi primi anni di autonomia. Non dimentichiamoci come la sua voce in capitolo fu abbastanza marginale e riconducibile alla sola valle del Kaikos. La Troade, regione geografica in cui sorse il Regno di Pergamo, fu ancora per qualche decennio questione dibattuta fra Macedoni e Seleucidi.
Tre sono i fattori che a partire dalla metà del III secolo a.C. fecero di Pergamo una concreta potenza regionale:
- Il controllo, ottenuto più con la diplomazia che con la forza, delle rotte commerciali tra Europa e Asia, passando per l’Egeo. Ciò fece del regno degli Attalidi un crocevia dei commerci e un centro culturale primario.
- Il progressivo avvicinamento alle realtà greche, dal quale confronto sviluppò una forte coscienza culturale. Quest’ultimo fattore si ricollega direttamente al prossimo.
- La vittoria ottenuta sui Galati, popolazione celtica proveniente dai Balcani e stabilitasi in Asia Minore dopo un raid in Grecia.
Su quest’ultimo punto bisogna far chiarezza, perché di estrema importanza per quanto riguarda la legittimazione del potere di Pergamo. Sconfiggendo i “barbari” Galati, Attalo I Sotere (241-197 a.C.), terzo dell’omonima dinastia, elevò Pergamo su un piano completamente diverso. Da allora non si parlò più di città-stato di medio o basso rango, bensì di regno vero e proprio, erede di una marcata cultura ellenica, inscalfibile baluardo contro l’invasione barbarica. Dal punto di vista propagandistico fu un terno al lotto. Basta decifrare il titolo onorifico adottato da Attalo I: Sotere deriva dal greco Sotér, che significa “salvatore”. Più chiaro di così.

La più grande forza del regno, ossia il fattore geografico che garantiva il passaggio delle principali vie commerciali da e per Pergamo, era tuttavia la sua più grande vulnerabilità. In tempi di pace quelle strade che così bene collegavano la capitale al resto della regione portavano ingenti introiti, dovuti al passaggio delle merci. L’altra faccia della medaglia è che in tempi di guerra, le stesse arterie facilitavano il passaggio di truppe, per lo più avverse. Gli Attalidi compresero bene questa problematica quando Filippo V di Macedonia, il re che tanto fastidio diede ai Romani, compì numerose sortite in territorio pergameno, saccheggiando e devastando le ricchezze nel frattempo accumulate.
Come ormai anche i muri sanno, arriva un momento della storia ellenistica in cui i rapporti tra le molteplici potenze dell’area egea e anatolica di colpo vengono subordinate ad un attore fino ad allora rimasto in disparte. Inutile mantenere la suspense: parliamo di Roma. Verso la fine del III secolo a.C. la Repubblica Romana entra a gamba tesa nello scenario orientale, sovvertendo uno status quo fatto di precari equilibri. Non lo fecero da conquistatori provenienti da lontano, non da barbari, ma da legittimi partecipanti al grande gioco delle civiltà culturalmente, economicamente, politicamente superiori. Chi si ritrovò a subire l’ingerenza romana – cioè tutti nello scacchiere anatolico, che è di nostro interesse – reagì in due modi: o lo fronteggiò (fallendo sul corto-medio periodo), o lo assecondò (cadendo in disgrazia in un secondo momento; sul lungo periodo).

Gli Attalidi preferirono servirsi dell’appoggio di Roma, del suo esercito, della sua egemonia, sacrificando l’autonomia della quale goderono per circa un secolo. Uno degli ultimi lasciti politici di Attalo I, fu l’alleanza con Roma. Non sappiamo bene se con piena o parziale coscienza, Attalo gettò le basi per una duratura collaborazione. Collaborazione che da un momento all’altro divenne completa ipotassi.
Avere Roma per alleata comportò una serie incredibile di vantaggi, in termini economici prima ancora che strategico-territoriali. Grazie alle tre guerre macedoniche (214-205 a.C. / 200-197 a.C. / 171-168 a.C.), ma soprattutto grazie alla lezione impartita ai Seleucidi di Antioco III (battaglia di Magnesia, 190/89 a.C.), il regno conobbe un’espansione territoriale senza precedenti nella sua storia. Con l’acquisizione di Lidia, Frigia e Panfilia, oltre ad alcune isole nell’Egeo, il Regno di Pergamo divenne in poco tempo la prima potenza dell’area. Nulla di ciò sarebbe stato neppure lontanamente immaginabile senza il supporto di Roma. Le cartine parlano da sole.
Dopo la pace di Apamea del 188 a.C. seguirono cinquant’anni circa di tranquillità in Asia Minore. Il dominio congiunto del Regno di Pergamo e Rodi (altro alleato stretto di Roma) fece sì che il governo degli Attalidi si concentrasse più sulle questioni commerciali e, in particolar modo, su quelle culturali. Sono di questo periodo meraviglie quali l’immensa biblioteca di Pergamo – purtroppo svuotata da Marco Antonio in favore di quella di Alessandria – e il ripidissimo Teatro di Pergamo. Opere volute dal re Eumene II (197-160 a.C.), così come per sua volontà si costruì l’Altare di Zeus, più comunemente noto Altare di Pergamo, oggi custodito a Berlino.

Avviandoci a conclusione, si denota come la grandezza di Pergamo fu una diretta conseguenza della sua sudditanza nei confronti di Roma. La fortuna del regno Attalide era un dono della Repubblica e come tale era destinato ad essere effimero. Quando gli interessi romani in Grecia si consolidarono definitivamente, l’alleanza con Pergamo perse di senso. L’ultimo sovrano degli Attalidi, Attalo III, morì senza eredi. Sua volontà testamentaria fu quella di lasciare il Regno di Pergamo al Senato e al Popolo di Roma. Il passaggio delle insegne non fu felicissimo, ma nel 129 a.C. i Romani assorbirono anche il regno fino ad allora più prospero del Vicino Oriente.