Almanacco del 28 febbraio, anno 628: il re dei re Cosroe II, a capo dell’Impero sasanide, viene fatto assassinare dal figlio Kavad II dopo aver perso la lunga guerra con i Romani d’Oriente, scoppiata 26 anni prima. Ebbero fine così, con un sostanziale parricidio, le ambizioni di un sovrano pronto a tutto pur di agguantare le leve del dominio. Con la morte di Cosroe II terminò de facto l’epoca d’oro della Persia sasanide, che di lì a poco si sarebbe dissolta di fronte alla dirompente ascesa islamica.
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Salito al potere nel 590 succedendo a suo padre, Cosroe II fu subito estromesso dall’usurpatore Bahram VI. Il legittimo sovrano si ritrovò a fuggire dalla sua terra per trovare riparo alla corte romana di Costantinopoli. Grazie ad un intreccio di interessi e promesse fatte, con un efficace intervento armato l’imperatore Maurizio restituì all’omologo sasanide il trono di Persia. Sappiamo che fino al 602 il re dei re governò in tranquillità, favorì le arti e l’architettura; in definitiva arricchì la cultura persiana e ne stabilizzò l’economia. Tuttavia in quell’anno accadde qualcosa di imprevisto e destabilizzante: da Costantinopoli giunse la notizia della morte di Maurizio. L’uomo al quale doveva il suo regno era caduto vittima di una congiura di palazzo ordita da Foca, influente generale romano.
In quel 602 Cosroe II prese una decisione fondamentale. Dichiarò guerra all’Impero romano d’Oriente, formalmente per vendicare il defunto Maurizio, ma il piano originale prevedeva l’assoggettamento di Bisanzio e la sua trasformazione da attore di rilievo nel contesto mediorientale a stato fantoccio alle dipendenze di Ctesifonte. Il re dei re, come forma di auto-legittimazione per l’entrata in guerra, dichiarò di aver tratto in salvo un presunto figlio di Maurizio, tale Teodosio, unico vero erede al trono costantinopolitano da dover reinsediare al più presto. Queste le premesse per la sanguinosa e debilitante guerra romano-sasanide del 602-628.
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Senza ripercorre ogni singola tappa del lungo conflitto, ci basti sapere che la sua prima fase arrise all’Impero sasanide. Fino al 622 circa furono tutte vittorie per i persiani e per Cosroe, il quale arrivò a credere di poter restaurare l’antico splendore achemenide. A poco, almeno inizialmente, servì il passaggio di potere a Costantinopoli, con Eraclio che succedette all’usurpatore Foca nel 610. In rapida successione caddero in mani persiane l’Armenia, l’entroterra anatolico, gran parte di Siria e Palestina, con le grandi città di Damasco e Gerusalemme. A peggiorare ulteriormente il quadro per i Romani d’Oriente si frappose la perdita dell’Egitto, il granaio dell’impero. All’indomani del 621 quasi tutto l’Impero romano poteva dirsi sotto il giogo persiano. Mancava all’appello solamente la capitale, ma conquistarla avrebbe richiesto uno sforzo gigantesco in termini economici, militari e soprattutto logistici.
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Il mancato colpo di grazia diede tempo ad Eraclio di riorganizzarsi e condurre un contrattacco con i fiocchi. Ciò avveniva mentre era al vertice di uno stato in bancarotta, senza più un esercito degno di nome e con esigue risorse di cui avvalersi. La controffensiva eracliana è ricordata ancora oggi dagli storici come un capolavoro di diplomazia di guerra e strategia militare. Nel corso di pochi anni l’imperatore ribaltò le sorti del conflitto. Sfruttò la distrazione dell’esercito sasanide, impegnato sulle sponde del Bosforo, aggirandolo e penetrando nel cuore della Persia. Con un pugno di uomini e le giuste alleanze arrivò a minacciare la capitale Ctesifonte.
L’ultimo ostacolo prima di arrivare nella città più grande della Mesopotamia (e forse del mondo) era Ninive. Lì andò in scena lo scontro decisivo tra le armate di un rinvigorito Eraclio e di un tremante Cosroe II. La battaglia di Ninive (dicembre 627) decretò la schiacciante vittoria dei Romani.
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Calò il buio sull’Impero sasanide e il malumore portò gran parte dell’aristocrazia persiana a sollevarsi contro il principale responsabile della disfatta: lo Shahanshah (re dei rei) di Persia. Prima del 28 febbraio 628, giorno esatto che le fonti riportano nel descrivere la morte del sovrano, accaddero due cose importanti. Agli inizi del mese, Cosroe II si rifugiò a Seleucia. Lì fece i conti con se stesso e, capendo di essere giunto al capolinea, nominò Merdaza, il figlio prediletto, successore al trono sasanide. Un altro suo figlio, Siroe, non accettò la nomina e si pose a capo di una potente fazione per rovesciare il regno di suo padre. La congiura di Siroe ebbe successo. Cosroe finì imprigionato dalle truppe fedeli al figlio ribelle il 23 febbraio. Seguirono cinque giorni di torture e il 28 febbraio fu giustiziato su ordine di Siroe, nel frattempo divenuto Scià col nome di Kavad II.