Le dinamiche dell’esilio nel corso del tempo hanno subito mutamenti così come i rifugiati e le loro svariate destinazioni. In alcuni casi l’esilio si rivelò un fattore chiave nel plasmare le idee di alcuni pensatori e individui: è il caso della famiglia Abravanel e dei suoi componenti, tra cui Isacco e Leone. Due elementi costitutivi del panorama culturale del XV-XVI secolo ma la cui rilevanza non si esaurì con la fine della prima età moderna.
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Gli Abravanel erano un’antica famiglia ebraica ispanica, estremamente famosa tanto che a Salonicco si diffuse un proverbio: “È sufficiente che il mio nome sia Abravanel” – ad indicare uno status privilegiato solo per ragioni genealogiche. Le origini di questa famiglia risalirebbero all’antico re israelita Davide, ma la loro fama deriverebbe soprattutto dalla loro professione.
La famiglia si distinse alla corte dei sovrani spagnoli, furono infatti eminenti esattori delle tasse, finanzieri e tesorieri dal XIII secolo in poi. Chiaro esempio del destino riservato alle famiglie ebraiche della penisola, migrarono, forzatamente, tra il XIV e XVII secolo, lungo e oltre il Mediterraneo. Durante le rivolte antiebraiche del 1391, il tesoriere reale andaluso Samuele Abravanel dovette obbligatoriamente convertirsi al cristianesimo.
Al tempo era comune il fenomeno per il quale alla conversione del capo famiglia seguisse, in modo sistematico, quello dell’intera progenie. In seno agli Abravanel ci fu l’eccezione. Fu così per Giuda, figlio di Samuele, che preferì la fuga in Portogallo alla conversione forzata, dove continuando a professarsi ebreo ottenne incarichi importanti. Fu il figlio di Giuda, Isacco, a decidere di abbandonare Lisbona per tornare in Castiglia.
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Isacco si ritrovò così a gestire le finanze dei sovrani Ferdinando e Isabella, fino al 1492. Quando anch’egli fu travolto da quello che lui stesso poco più avanti avrebbe definito come “l’esilio amaro della Spagna”, prese i suoi tre figli e si diresse prima a Napoli, poi in Sicilia e Corfù. Si stabilì a Venezia nel 1503, e durante tutto il periodo passato in esilio, Isacco decise di approfondire lo studio della Torah. Iniziò così una vasta produzione di scritti che veicolavano un messaggio pressoché messianico: le sofferenze subite dagli ebrei non fecero che aumentare il loro senso del destino. Isacco esortava allora i membri della propria comunità a rimanere saldi nella fede.
Mentre la tradizione messianica diventava sempre più incisiva nella storia degli ebrei, Isacco si affermava come l’ultimo dei grandi commentatori ebrei medievali. Suo figlio, Giuda Leone invece divenne noto come uno dei primi filosofi ebrei moderni. Egli si allontanò dalla tradizionale e familiare carriera in campo finanziario per diventare uno stimato medico alla corte di Spagna fino al 1492. Rimase coinvolto in una triste vicenda, che divenne poi l’origine e il nutrimento di una sua toccante opera: il rapimento del figlio e il battesimo forzato. Non potendo fare altro che scappare, rinunciando alla conversione, si trasferì con il resto della sua famiglia in Italia.
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I versi che Leone dedicò al figlio, il dolore che descrive si percepisce e quasi si tocca, ma la sua opera più conosciuta è senz’altro Dialoghi d’amore. L’opera in forma dialogica, scorre tra Filone e Sophia, che discutono sulla dualità dell’amore, in qualità non solo di eros ma di principio cosmico. L’esilio insomma su Isacco e Leone Ebreo ebbe esiti differenti, spinse uno a scrivere di speranza e l’altro d’amore. Una piccola riflessione finale per il lettore: nella ricostruzione delle storie di esilio e di conversione si ritrovano innumerevoli nomi maschili, diversamente da quelli femminili. Non è un caso che la fonte impiegata per questo testo non indicasse i nomi o le storie delle donne Abravanel.