Un tempo bersaglio prediletto di pregiudizi, vessazioni e angherie; oggi invece è un’icona della cultura sudamericana, più nello specifico della Pampa, regione pianeggiante del cono meridionale americano. Nel presente gaucho è sinonimo di cavaliere errante, di mito duraturo, persino di standard ideale per uno specifico stile di vita, quello del mandriano solitario e fiero. Questa figura, spesso associata in modo semplicistico alla controparte nordamericana del cowboy, ha una sua storia specifica; l’intento odierno è quella di raccontarvela nella sua essenza, non cadendo in storture apologetiche o valutazioni soggettive assolutamente non richieste.

Allora, ad un’analisi primaria e superficiale, il gaucho è una figura storica e culturale dell’America del Sud, associata alle vaste pianure della Pampa che comprendono in larga parte l’Argentina, quasi tutto l’Uruguay e in piccola porzione il Brasile meridionale. Mandriano nomade e abilissimo cavaliere con caratteristiche uniche perché connaturate all’ambiente di provenienza e dalla cultura a cui apparteneva. La sua origine storica s’intreccia tanto all’ecosistema sudamericano quanto alle comunità umane che, in tempi e approcci diversi, l’hanno sfruttato.
Ad abitare per secoli la grande pianura del Cono Sud sono stati i Tehuelche, popolazione autoctona scalzata dall’arrivo degli spagnoli. Quest’ultimi compresero il potenziale dell’immensa regione – parliamo di 760 000 km² – e cercarono immediatamente di impiegarla per il pascolo del bestiame. Ciò accadde in un momento specifico della storia, nel pieno XVII secolo. Dall’alta California, passando per il Messico, fino all’estuario del Río de la Plata, vennero coniati tanti nomi per indicare questi uomini dediti al contenimento delle mandrie: vaqueros, llaneros, charros e, naturalmente, gauchos.

La stessa parola “gaucho” è una spia di ciò che rappresentò, fin dal principio, questo ramingo delle pianure. Il termine deriva probabilmente dall’araucano “cauchu” che significa “vagabondo“. Sembra che il vocabolo si sia diffuso in conseguenza dell’abbondanza di queste figure nomadi nelle Pampas tra XVIII e XIX secolo nonché per la vaghezza con cui si legiferava in merito ai confini delle estancias (ranch ispanici). Laddove ci fu un vuoto normativo di carattere territoriale, proliferò la consuetudine di questi uomini senza fissa dimora, padroni del loro destino così come delle loro mandrie.

Solitamente meticci (di origine mista spagnola e amerinda), essi cacciavano bovini selvatici per vendere carne e pelli. A differenza dei vaqueros, i gauchos conducevano uno stile di vita nomade, privo di affiliazione a ranch o territorio in particolare. Per un secolo buono rappresentarono il margine della società impostata dagli spagnoli. Anche per questo motivo svilupparono una propria cultura, fondata su valori archetipici quali l’indipendenza e l’onore. Con la progressiva formazione di un’entità statale accentrata e regolamentatrice (spagnola o argentina/uruguagia che fosse), la fisionomia sociale del gaucho mutò sensibilmente. Da pastore autonomo divenne bracciante costretto a lavorare entro i confini di una proprietà o, qualora si fossero opposti, fuorilegge in buona fede.

Sorse dunque un’insanabile conflittualità tra la cultura nomade dei mandriani e lo spirito regolamentatore statale. I mezzi della comunicazione ufficiale, quasi sempre in mano ai governi, dipinsero per tutto l’Ottocento i gauchos come banditi e criminali. Nell’ultima decade del XIX secolo si arrivò a bollarli addirittura come parassiti sociali da dover estirpare con la forza. Ciò secondo una prospettiva faziosa: un mandriano ribelle della Pampa non poteva reggere il confronto in tema di rispettabilità con un proprietario terriero, componente politico-economica (e perché no, elettorale) di fondamentale importanza per la classe dirigente.
Complice una propaganda ostile, i viaggiatori europei giunti in loco assorbirono il pregiudizio negativo sul loro conto. Non mancano diari di viaggio in cui l’abbiente di turno descrive i gauchos come esseri ignobili, sporchi, rozzi, nemici della civiltà. Se tutto questo è vero, documentato e comprovato, allora come si spiega la rivalutazione culturale di oggi? Come giustificare storicamente la concezione positiva, al limite della miticizzazione, del gaucho?

Per capirlo basta osservare il contesto socio-politico dell’Argentina a partire dai primordi di XX secolo. Noi italiani lo sappiamo forse meglio di chiunque altro: all’epoca la nazione sudamericana divenne un polo attrattivo per i flussi migratori europei. Nel mondo, così come in Argentina, si faceva sempre più spazio un forte sentimento antimoderno. Si ebbe più paura (e diffidenza) delle complicazioni derivate dal progresso. Industrializzazione, militarizzazione, coercizione delle masse non più detentrici di un vero potere, cambio del paradigma morale. Tutti temi che l’immigrazione europea trascinò con sé nel Nuovo Mondo.
Un Mondo Nuovo, appunto, fatto di barriere doganali, di spazi delimitati e protetti, di confini serrati, in cui il gaucho non può sopravvivere… Se non sottoforma di ideale letterario. La corrente romanticista argentina fece sua la causa dei gauchos obliterati dalla contemporaneità. Finì dunque per elevarli a stendardo della purezza, della genuinità umana, della semplicità rurale.

Il tramite poetico e letterario primo novecentesco ha permesso ai gauchos di vivere e proliferare, seppur idealmente, nella società sudamericana. La cultura popolare ha ripreso a piene mani dall’eredità romanticista. Un esempio carissimo al sottoscritto e che sicuramente conoscerete già è quello di Jorge Luis Borges, scrittore principe del realismo magico. Nelle sue opere spesso compare la figura del gaucho, seppur con sfumature sempre originali e mai compresse nel prototipo del “buon selvaggio“.
Chiaramente nell’epoca in cui viviamo, la rievocazione del mandriano della Pampa è un fattore innegabile. Ma di quello si tratta, di una riproposizione “falsata”, di un omaggio a qualcosa che non può più esistere. Ciò non per mancanza di volontà, desiderio o abilità, ma per l’assenza del principio basilare, naturale, essenziale che contraddistingue il gaucho: la libertà, intesa come indipendenza da costrizioni legali, da norme, da tutto e tutti.