Storia Che Passione
Henri Matisse in 3 opere

Henri Matisse in 3 opere

Henri-Émile-Benoît Matisse (1869-1954) è stato senz’altro uno degli artisti più noti e apprezzati del Novecento. Maestro indiscusso dell’arte pittorica contemporanea, assieme ad André Derain rappresentò il vertice del fauvismo, movimento d’avanguardia nato, cresciuto e morto quasi esclusivamente entro i confini della Terza Repubblica Francese. Fu un’esperienza fugace, ma intensissima e di notevole impatto. Espressionismo e Astrattismo dovettero una certa quota della loro fortuna all’intraprendenza artistica delle “belve” (in francese “les fauves”) messa in mostra nella Parigi primo-novecentesca.

Henri Matisse in 3 opere

Matisse incarnò alla perfezione lo stile pittorico del fauvismo, fondato sull’utilizzo sfrontato del colore puro, steso in modo piatto senza pensare ad eventuali sfumature. Il realismo non è mai stata una prerogativa del movimento, né lo fu per il suo esponente più illustre. Anche se bisogna dirlo, egli iniziò – come molti altri colleghi dall’animo innovativo – con tecniche pittoriche tradizionali. Si avvicinò in un secondo momento all’impressionismo, e più nello specifico a mostri sacri quali Paul Cézanne e Vincent van Gogh. Poi l’illuminazione fauvista del 1905, perdurata con intensità estrema per cinque anni, fino al 1910. Di quel quinquennio voglio rendervi partecipi. Ecco a voi, Mesdames et Messieurs, Henri Matisse in 3 opere.

1 – La gioia di vivere (Le Bonheur de Vivre), 1905-1906.

Il manifesto artistico del fauvismo, un successo dalla portata incommensurabile. L’influsso del quadro fu tale da convincere Pablo Picasso, rivale pittorico di Matisse, a superarlo con Les demoiselles d’Avignon. Se ci si sofferma all’apparenza del dipinto, è abbastanza facile scorgere una scena pastorale, con figure danzanti o stazionarie, immerse in uno scenario idilliaco, cromaticamente vivace. Ed ecco però che, concentrandosi sulla dinamica della tela, si rimane stupiti dall’elemento innovativo: Henri Matisse ha donato a La gioia di vivere un ritmo naturale e specifico.

Henri Matisse La gioia di vivere

Il dinamismo della scena baccanale è sorretto dall’uso coraggioso dei pigmenti. Mi spiego meglio: l’opera rompe con le prospettive tradizionali e utilizza il colore per evocare emozioni piuttosto che per descrivere la realtà. In questo specifico senso, La gioia di vivere è la colonna portante della struttura fauvista. In questo senso Henri Matisse ha rivoluzionato il modo di intendere l’arte avanguardista.

2 – Donna con cappello (Femme au chapeau), 1905.

Se di genesi del fauvismo vogliamo parlare, allora non è possibile farlo senza menzionare Donna con cappello. Realizzato nel 1905 ed esposto il medesimo anno al Salon d’Automne, il dipinto raffigura la moglie dell’autore, Amélie Matisse. Lo sconforto del pubblico alla visione dell’opera fu cocente. Come osava quell’artista rompere lo schema tradizionale, anzi, la gerarchia abituale fra sfondo e primo piano? Con che superbia impiastrava la tela con colori così sgargianti da far venire il senso di nausea? Gli sguardi di pubblico e critica offrirono un giudizio netto: non erano mica artisti quelli, ma belve, fauves, come disse il critico Louis Vauxcelles.

Henri Matisse Donna con cappello

E belve rimasero, fieri creatori d’arte avanguardista, fautori di tele come Donna con cappello, selvaggia nel contrasto cromatico, con queste tonalità di giallo, blu, rosso e verde che sembrano azzuffarsi benché in maniera armoniosa. Furono tutti lesti a criticare, ma qualcuno fu altrettanto lesto ad offrire il denaro necessario all’acquisto; la famiglia Stein, nella fattispecie, che portò il dipinto a San Francisco, intrecciando irreversibilmente il destino del quadro a quello degli Stati Uniti d’America, dove ancora oggi può essere ammirato. Se passate dal MOMA, non perdetevelo.

3 – La Danza (La Danse), II versione, 1910.

Assoluta predominanza dell’elemento pittorico (tecnica, colore, struttura) sull’oggetto raffigurato; emblema della caratterizzazione fauvista, ennesima dimostrazione di ciò che Matisse e i suoi compagni d’arte volevano dimostrare al mondo, anzi, ad un certo tipo di mondo, radicato nel classicismo, nel consueto, nella monotonia del già visto. Eppure la novità stravolse le aspettative e non convinse neppure in quel 1910. Qualcuno arrivò a definire La Danza una “cacofonia demoniaca”. Persino il committente dell’opera, il collezionista d’arte Sergej Ščukin, auspicò di gradire il quadro in un futuro non troppo lontano. Come a dire “bello eh, niente male, ma forse avrei preferito altro…”.

Henri Matisse La Danza

L’arte è strana, chi la critica (dove per critica s’intende analisi soggettiva dell’oggetto) lo è ancor di più. Passarono gli anni e de La Danza si iniziò a parlare in termini diametralmente opposti a quelli lanciati come slogan nel 1910. Le cinque donne in rotazione organica sulla collina verde esprimono il consueto senso di movimento, il fauvismo si fa vibrante, coinvolgente, e Matisse cerca di dimostrarlo anche in modo didascalico: la figura sulla sezione bassa del dipinto, che è di spalle, è “trascinata” dal moto della danza, così come lo spettatore deve – se vuole – farsi trascinare dalle emozioni che un genio artistico come Henri Matisse sapeva suscitare.