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Sesso, potere e segregazione: la storia del Bousbir di Casablanca

Sesso, potere e segregazione: la storia del Bousbir di Casablanca

Se prendessimo una mappa di Casablanca della prima metà del Novecento, noteremmo una particolarità: la sezione sud-orientale della città sembra essere “recintata”, distaccata dal resto dei quartieri. A qualcuno potrebbe balenare in mente l’immagine dei ghetti ebraici, luoghi di segregazione, marginali rispetto ad un contesto cittadino plurale e interconnesso. La correlazione non sarebbe affatto insensata, anzi, ci fu un momento esatto nella storia della città in cui una sua area fu tramutata in ghetto. Esso fu riservato non ad una minoranza religiosa, etnica o politica, bensì alle donne, i quali destini si intrecciarono con le malsane direttive del colonialismo. Questa è la storia del Bousbir, il quartiere a luci rosse di Casablanca.

Sesso, potere e segregazione: la storia del Bousbir di Casablanca

L’anno di riferimento per la narrazione della vicenda è il 1912. Con il Trattato di Fez il Marocco divenne ufficialmente un protettorato sotto l’egida della Terza Repubblica francese. Una delle prime preoccupazione della nuova amministrazione di stampo coloniale fu la riorganizzazione dell’urbanistica cittadina. A dire il vero l’interesse francese per l’ammodernamento dei principali porti marocchini risaliva ai primi del XX secolo, quando l’influenza transalpina sulla regione poteva dirsi sì informale, ma riconosciuta su scala internazionale. Ecco dunque che l’attenzione ricadde su Casablanca, che nel primo ventennio del XX secolo conobbe un’esponenziale crescita demografica, passando dai 25.000 abitanti del 1903 ai quasi 100.000 del 1915.

Bousbir Hubert Lyautey

Il primo Residente Generale del protettorato, monsieur Louis Hubert Gonzalve Lyautey, incaricò l’architetto Henri Prost di progettare la nuova città. Il maresciallo Hubert Lyautey fu molto chiaro con l’architetto: timoroso per la diffusione delle malattie veneree (soprattutto la sifilide) fra le truppe coloniali ordinò l’edificazione di un quartiere dove poter regolamentare la prostituzione. Con questi propositi nacque il quartier réservé, che in arabo marocchino venne chiamato Bousbir (بوسبير). Piccola curiosità etimologica. I marocchini chiamarono il sobborgo delimitato “Bousbir” perché quella era la pronuncia locale per indicare Prosper Ferrieu, il diplomatico francese in possesso del terreno sul quale si edificò il quartier réservé.

Bousbir mappa del protettorato francese del Marocco

Prost sviluppò il piano generale fra il 1917 e il 1922. Secondo pianificazione, il quartiere a luci rosse sorse lontano da centro cittadino. La gestione dello stesso ricadde su una società nota come La Cressonière. Questa avrebbe provveduto al finanziamento, all’organizzazione e alla riscossione delle impose all’interno del quartiere. Il Bousbir divenne operativo nel 1924 e lo rimase fino al 1955, all’indomani dell’indipendenza marocchina. Fino ad adesso ho elencato una serie di dati oggettivi, riguardanti nomi, responsabilità e date. Ora il focus ricadrà sulle intenzioni dell’amministrazione coloniale francese, su ciò che i vertici – a partire dallo stesso Lyautey – idearono per esercitare un potere assoluto sulla vita di migliaia di donne imprigionate e sfruttate entro le spesse mura del quartiere.

Bousbir città di Casablanca nel 1917

La storia del Bousbir è soprattutto una storia di potere, segregazione e abuso. Questo punto deve essere ben chiaro a chi legge o si approccia per la prima volta alla tematica. A rimarcare la “funzione sociale” di controllo della zona si può prendere ad esempio il dato architettonico. Alte mura a cingere l’intero quartiere; un solo ingresso sorvegliato 24 ore su 24 da uomini armati. L’architettura doveva accompagnare i visitatori all’interno del Bousbir. Lo stile neo-moresco, unito ad influssi tipicamente europei, servivano a compiacere il gusto orientalista del cliente.

Bousbir ingresso quartiere

L’area d’interesse era racchiusa in un rettangolo di 160 metri in lunghezza per 150 in larghezza. La suddivisione del quartiere seguiva una logica ben precisa, improntata sull’ottimizzazione del “lavoro” e del derivato guadagno. Si incontravano edifici dove risiedevano le prostitute, in cui poter assistere esclusivamente a spettacoli erotici, altri ancora dove potersi svagare, sempre accompagnati da compiacenti donne. A voler essere precisi, il Bousbir comprendeva 175 residenze, un cinema, una sauna, diversi ristoranti e caffè, boutique di ogni genere e per ogni gusto, una stazione di polizia, una caserma, una prigione e un dispensario.

Bousbir donne al lavoro

Come poteva una donna finire all’interno del quartier réservé? La risposta a dire il vero è abbastanza semplice. Il ricatto e la coercizione obbligavano giovani ragazze (e non) alla prostituzione. Lo sfruttamento rasentava l’annichilimento: dalle 450 alle 680 lavoratrici del sesso vendevano i loro servizi a non più di 1.500 visitatori giornalieri. Esisteva anche una quota di donne che lavorava nel Bousbir di loro spontanea volontà, forse perché attirate da possibilità di guadagno immediato. L’età minima per il “servizio” era di 12 anni.

Il quartiere rifletteva le disuguaglianze razziali e sociali dell’epoca coloniale, dove le donne marocchine erano subordinate ai desideri dei colonizzatori. Come si è spesso ripetuto in queste righe, il cardine attorno il quale tutto ruotava era il potere, ovvero come esercitare un ascendente su un individuo subordinato per mera condizione politica e sociale. Il controllo del corpo femminile divenne un’estensione del controllo coloniale sulla popolazione marocchina.

Bousbir donne nel quartiere a luci rosse

Dopo trent’anni di attività, un mix di posizioni religiose, femministe, socialiste e anticoloniali fecero pressione per la chiusura del quartiere. Nel 1955, un anno prima dell’indipendenza, Casablanca chiuse per sempre le porte del Bousbir. Di quel luogo oggi restano diverse tracce, tanto nella memoria della popolazione locale quanto nelle fonti materiali. Le cartoline di Marcelin Flandrin (ricordate il fotografo del leone dell’Atlante?) resero il Bousbir di Casablanca famoso in tutto il mondo. In Marocco il tema è delicatissimo, ma rimane comunque un argomento di dibattito sull’eredità coloniale e sue implicazioni sulla società contemporanea.