Se perfino il Guinness dei primati è giunto a definirla come una delle più prolifiche serial killer della storia, se non la prima in assoluto con le sue oltre 600 vittime, allora capiamo bene quanto possa essere intaccata la reputazione di Erzsébet Báthory, nobildonna ungherese vissuta a cavallo fra Cinque e Seicento. Per questo ribattezzata la “Contessa Dracula” o la “Contessa Sanguinaria”, la sua reale vicenda finisce per confondersi col racconto leggendario, dando vita ad una narrazione molto cara ad opere artistico-letterarie, finanche televisive o cinematografiche, le quali tuttavia hanno più a che fare con il verosimile che con il reale documentato. E allora sorge il dubbio: chi fu, davvero, Erzsébet Báthory contessa di Ecsed?
Erzsébet nacque il 7 agosto 1560 a Nyírbátor, odierna Ungheria, ma crebbe nella tenuta di famiglia di Ecsed, che invece oggi si trova entro i confini della Transilvania, in Romania. Discendeva da una potentissima famiglia aristocratica che nei secoli espresse un re di Polonia (Stefano I Báthory), diversi eroi di guerra e prelati. Era gente abituata a detenere le redini del potere, soprattutto nella loro regione di competenza, la Transilvania. I genitori di Erzsébet – consanguinei fra l’altro, come d’abitudine – vivevano nel castello di Čachtice, oggi in Slovacchia, con al seguito una ristretta corte di servitori.
La giovane fanciulla crebbe in un ambiente non del tutto sano. Anzitutto a causa della consanguineità familiare, ereditò un disturbo mentale associato alla schizofrenia. Avvisaglie in tal senso si notarono fin dai primi anni dell’infanzia. In secondo luogo, sembra che la vessazione nei confronti della servitù fosse all’ordine del giorno. È molto probabile che Erzsébet crebbe con la consapevolezza di poter maltrattare a piacimento chi non condivideva il suo status sociale privilegiato. Oltre alla violenza, nel castello di Čachtice passò anche la cultura: all’età di 11 anni la nobildonna parlava fluentemente latino, ungherese e tedesco.
Ma quella fu anche l’età in cui il padre la promise ad un lontano cugino, di cinque anni più grande, il conte Ferenc Nádasdy. Raggiunta la pubertà, come di consueto la discendente di Casa Báthory andò a vivere dal marito, ma subito uno scandalo si impose agli onori della cronaca. Erzsébet restò incinta di un servo e il conte Ferenc affrontò la bega con tutta la quiete del caso: fece prima torturare, poi seviziare e infine giustiziare il servo incriminato, mentre la contessa partorì nel più assoluto segreto. Dopo lo scandalo vennero celebrate le nozze nel 1575. Per l’importanza del nome della famiglia Báthory, fu Ferenc ad adottare il cognome e a spostarsi nella residenza nobiliare di Čachtice, luogo in cui la giovane Erzsébet era cresciuta. L’unione generò quattro figli: Anna, Katharina, Ursula e Paul.
Il conte Nádasdy passò quegli anni a cavallo tra XVI e XVII secolo più a guerreggiare con gli ottomani che al fianco di moglie e figli. L’abilità cavalleresca, mista alla spietatezza in battaglia, gli valsero anche l’altisonante soprannome di “Cavaliere Nero di Ungheria”. Peccato che poté godere della nomea per breve tempo, poiché la morte, causata da cosa non lo si è mai scoperto, lo colse nel gennaio 1604. Vedova, madre di quattro bambini, detentrice di una somma di beni difficilmente gestibili, Erzsébet Báthory poté apparire ai contemporanei come una facile preda degli eventi, in procinto di soccombere e perciò da sfruttare, se non manovrare. La donna però aveva già dato prova di essere un’amministratrice degna di nome, anche se oltremodo severa. Ed è forse da quel momento che la leggenda iniziò ad offuscare le già sbiadita verità sul suo conto.
A partire dai primi del Seicento cominciò a circolare più di una voce sulle misteriose sparizioni legate in un modo o nell’altro alla contessa Báthory. Giovani dame che entravano nella servitù salvo poi scomparire senza lasciare traccia. Strane storie su torture e sadismi vari, acuite da una condizione psichica “altalenante”, come dimostrato dalla stessa Erzsébet. Dicerie che potevano avere un fondo di verità, ma che se analizzate nel dettaglio, denotano una certa pretestuosità. Il perché è presto detto e si ricollega alla vicenda politica europea di quegli anni.
Mattia d’Asburgo, allora reggente del Sacro Romano Impero ma già re di Ungheria e Boemia col nome di Mattia II, era un fervente cattolico. Mentre Casa Báthory stava dalla parte dei protestanti. Solitamente sarebbero dettagli da poco, non negli anni immediatamente precedenti alla guerra che dal 1618 al 1648 devastò irrimediabilmente l’Europa. Nacque una disputa tra la corona le forze interne all’impero di fede riformata, tra le quali spiccava Erzsébet Báthory. Spiegata così, si può meglio comprendere la natura dei numerosi tentativi fatti da Mattia d’Asburgo per “affossare”, e quindi calunniare, la contessa transilvana. Inoltre la caduta di un casato così nobile avrebbe comportato per la monarchia l’incameramento di tutte le sue ricchezze. Troppo ghiotta l’opportunità di mettere in piedi un processo a danno della nobildonna.
Il sovrano asburgico affidò l’inchiesta a György Thurzó che nel 1609 si recò in loco, prese in custodia la contessa così come il feudo, imprigionò alcuni suoi servitori e diede il via al processo. Questo durò la bellezza di due anni e se andate nell’Archivio Nazionale d’Ungheria, potete ancora oggi trovare gli atti giudiziari. A Erzsébet Báthory furono imputati i più ripugnanti crimini. Dalla stregoneria alla personale collusione con il diavolo, si disse di tutto. La contessa si avvalse dei privilegi nobiliari e non rispose alle accuse. Chi però svelò le indicibili crudeltà commesse furono i suoi più stretti collaboratori.
Essi non si risparmiarono, legando il nome della contessa all’omicidio per diletto di 80 ragazze. Nei secoli a venire i numeri cambieranno, fino a raggiungere l’ordine delle centinaia. Sul “come” e il “perché” le carte sorvolarono, perciò si è detto di tutto: che nelle segrete del castello di Čachtice si torturasse con fruste, tenaglie, coltelli e altri macchinari diabolici; che la nobile dissanguasse le vittime per poi servirsi di quel sangue in ottica rigenerante. Inutile dire che la giustizia si pronunciò drasticamente con i collaboratori: giustiziati, cremati e le di loro ceneri disperse. Erzsébet Báthory andò incontro alla prigionia perpetua, trascorsa in una minuscola cella del suo castello. Morì infine nel 1614.
Gli unici documenti che oggi attestano le responsabilità della contessa derivano dagli atti prodotti dal processo. Alcuni autori, così come alcuni storici, ritengono siano attendibili. In tempi più recenti, esperti e ricercatori stanno lavorando per scagionare la contessa Báthory, asserendo come l’intero impianto accusatorio si basasse su un mero pretesto politico. I lavori degli storici László Nagy e Irma Szádeczky-Kardoss sono illuminanti in tal senso. In poche parole essi mettono in dubbio la ricostruzione tradizionale della vicenda traendo spunto da documenti fiscali, notarili, giudiziari e non ultimi letterari.
Invece per quanto riguarda l’eredità culturale lasciata dalla vicenda di Erzsébet Báthory, questa permane nel presente. Addirittura in giro c’è chi dice che Bram Stoker per il suo Dracula si sia inspirato a lei, invece che al più celebre Vlad III di Valacchia – ma è una tesi di complessa dimostrazione.