Fino al 2022, anno cardine del conflitto russo-ucraino, i diplomatici di Mosca e Tokyo hanno cercato una soluzione di comune accordo ad un problema di carattere territoriale e strategico. Il medesimo interessa le due potenze internazionali dal lontano 1945: forse ad alcuni di voi la vicenda sarà nota, ma per tutti gli altri, sappiate che tra Russia e Giappone esiste ancora oggi un formale stato di belligeranza a cui non si è posto fine con una firma di pace. Il motivo? Le isole Curili.
Situate fra l’estremità nord orientale dell’Hokkaidō giapponese e la propaggine sud-occidentale della Kamčatka russa, le Curili non sono altro che un arcipelago composto da 56 isole, una ventina delle quali sono abitate da non più di 20.000 abitanti. In un certo senso è una striscia di terra intervallata dal mare che “collega” la Russia al Giappone. Per quelle isole, gli Stati interessati hanno stabilito degli intensi contatti diplomatici fin dalla seconda metà del XIX secolo.
Risale al 1855 il trattato di Shimoda, il primo accordo ufficiale tra Impero russo e Impero giapponese sotto la guida dei Tokugawa. Senza dilungarci troppo, si stabilì che le quattro isole meridionali dell’arcipelago dovevano finire sotto la giurisdizione shogunale, mentre le restanti sotto quella zarista. Nel concordato rientrava anche la questione dell’isola di Sachalin, che ricadeva sotto l’amministrazione congiunta russo-giapponese.
Nuovamente nel 1875 si giunse ad una rettifica della precedente intesa. Con il trattato di San Pietroburgo la Russia rinunciò alla sua quota delle isole Curili, assumendo tuttavia il pieno controllo di Sachalin. Aspettate, perché non è finita. Dopo la disfatta zarista nella guerra del 1904-05 contro il Giappone, si pose fine alle ostilità con il trattato di Portsmouth, entrato in vigore nel settembre del 1905. Le disposizioni confermavano la sovranità nipponica sulle Curili e concedevano a Tokyo la metà meridionale di Sachalin, oltre che il protettorato sulla penisola di Corea. Quello fu l’inizio dell’aggressiva politica espansiva imperialista giapponese, di cui vi parlai un po’ di tempo fa (se volete approfondire, questo è l’articolo).
Situazione rimasta pressoché immutata fino alle fasi finali della Seconda guerra mondiale. Dopo Jalta e lo sgancio delle atomiche, l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone l’8 agosto. Fu una mossa strategica per gli Alleati affinché il controllo degli stretti di fronte il porto di Vladivostok fosse assicurato. In quest’ottica l’Armata Rossa occupò buona parte della Manciuria, metà della Corea, la parte meridionale dell’isola di Sachalin e, in ultima istanza, tutte le Curili. I combattimenti furono a dire il vero pochi e sporadici. Giusto il tempo di arrivare a metà agosto, ovvero fino alla resa incondizionata dell’Impero del Giappone.
Stalin guidò il consolidamento dell’autorità sovietica sull’arcipelago in primis facendo espellere i 16.000 isolani giapponesi e in secondo luogo installando impianti strategici militari, soprattutto a nord. Ma tutto ciò non avvenne nell’immediato. Passarono anni ed anni, durante i quali il Giappone entrò fermamente nell’orbita americana, partecipando a pieno titolo nella dialettica della Guerra Fredda. Solo nel 1951 il Giappone e altri 49 paesi del mondo arrivarono a dei negoziati di pace, passati alla storia come il trattato di San Francisco. Lo so, molti trattati, ma resistete ancora un attimo.
Era il 1951, un’era infinitamente diversa da quella riscontrabile sei anni prima. Gli equilibri del mondo cambiarono radicalmente, con Tokyo che a tutti gli effetti eseguiva le direttive di Washington e con Mosca che non intendeva retrocedere di un passo rispetto agli accordi di Jalta. Già, perché a San Francisco si riconobbe la sovranità del Giappone sulle quattro isole meridionali dell’arcipelago delle Curili: Habomai, Shikotan, Kunashir e Iturup per la precisione.
L’ultimo vero tentativo compiuto per trovare una quadra risale al 1956, anno della dichiarazione congiunta nippo-sovietica. Ci fu la volontà da ambo le parti di risolvere alcune controversie territoriali e diplomatiche. Ad esempio si firmò finalmente una dichiarazione per la cessazione delle ostilità, anche se non si giunse a ratifica a causa di pressioni statunitensi. Anche il disaccordo per la restituzione di due isole in particolare non aiutò all’economia dell’accordo.
L’Unione Sovietica non scese a compromessi e da allora (sebbene oggi si parli di Federazione Russa) il Cremlino non riconosce come legittime le rivendicazioni giapponesi. Ecco perché non si è mai giunti ad una pace fra i due Paesi, i quali, come si è già detto inizialmente, sono ancora formalmente in guerra. A scanso di equivoci, bisogna tuttavia ricordare come non si sia mai ricorso alla forza per la risoluzione della disputa. Speriamo che quest’ultima frase non invecchi presto.