Da poco era passata la mezzanotte quando i sintomi di un’influenza presa sottogamba evoluta in polmonite si aggravarono e segnarono l’ultimo istante di vita dell’anziano ex imperatore del Brasile, dell’uomo che in 58 anni di regno condusse il proprio paese verso la stabilità politica, il progresso tecnologico e l’affermazione sul palcoscenico internazionale. Spirava così, alle 00:35 del 5 dicembre 1891, Pedro de Alcântara, regnante col nome di Pietro II del Brasile. Il secondo e ultimo imperatore brasiliano se ne andò nella più sconcertante modestia, all’interno di una spartana stanza di motel, nella lontana ma pur sempre sfavillante Parigi. Perché un destino così equivoco se comparato ad una vita ricca di onori e gravose responsabilità? Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro nel tempo, tornando al 1825.
Il 2 dicembre di quell’anno nacque il principe reale Pedro. Suo padre, Pietro I del Brasile, lo caricò di una pesantissima eredità fin da bambino, lasciandogli la corona nel 1831. Il passaggio del testimone imperiale fu dovuto all’abdicazione di Pietro I e alla sua volontà di tornare in Portogallo per difendere la pretesa della figlia al trono portoghese. Essendo troppo giovane per regnare, seguì un decennio circa di reggenza, che terminò quando Dom Pedro (nome con cui si firmò per tutta la vita) assunse i pieni poteri all’età di 14 anni. La centralità della figura dell’imperatore era innegabile, ma non per questo vantava poteri assoluti. Il Brasile era una monarchia costituzionale in cui la ripartizione dei poteri era equilibrata e dove alcuni diritti individuali erano garantiti, vedasi la libertà di stampa.
Il programma di governo che Pietro II non mancò mai di seguire verteva su quattro principi fondamentali:
- Modernizzazione e sviluppo economico dell’impero.
- Abolizionismo e progressivo logoramento delle forze schiaviste interne.
- Sostanziale neutralità internazionale, mantenimento dello status quo regionale (limitato interventismo militare).
- Progresso tecnologico, patrocinio delle arti e della cultura in generale.
Seguendo i quattro cardini così enunciati, Dom Pedro si rivelò essere un sovrano brillante, retto e per nulla avulso dalle questioni – più o meno scottanti – che interessarono il Brasile nel pieno Ottocento. Non era scontato, viste le premesse con cui egli iniziò la sua avventura come capo di Stato nel 1831. Solo pochi anni prima la guerra cisplatina (1825-1828) aveva causato la secessione delle province meridionali e la costituzione dell’Uruguay, supportato con determinazione dall’Argentina. A quell’epoca le dispute territoriali fra i nuovi Stati indipendenti del Sudamerica erano endemiche. Con le armi si risolveva ciò che trattati e accordi non erano riusciti a stabilire.
In tal senso Pietro II non si presentò come guerrafondaio, ma come ferreo sostenitore dell’integrità territoriale brasiliana. Soprattutto intorno alla metà del XIX secolo scoppiarono dei conflitti regionali che puntualmente vedevano coinvolte le principali potenze dell’area: Uruguay, Paraguay, Argentina e Brasile. Nonostante il mutare delle alleanze a seconda delle reciproche pretese, il Brasile ne uscì sempre vincitore, malgrado l’alto prezzo da pagare in termini economici e umani. Si faccia solo un esempio; la guerra della triplice alleanza combattuta nel periodo 1864-1870 dalla coalizione composta da Uruguay, Argentina e Impero del Brasile contro il Paraguay causò il decesso di quasi 500.000 persone fra militari e civili.
L’Ottocento per l’America latina fu un secolo movimentatissimo. Aggettivo da intendere nella sua accezione più ampia. Guerre civili, ribellioni, colpi di stato, corruzione e violenza politica insanguinarono il continente. L’unica eccezione in tutto ciò fu il Brasile di Pietro II, che invece godette di 58 lunghi anni di stabilità politica, incremento demografico e generale avanzamento economico-commerciale. Il merito fu principalmente dell’imperatore, deciso nel mostrarsi come figura super partes tra le fazioni politiche avverse, nonché come scrupoloso difensore della carta costituzionale brasiliana.
Nel suo lunghissimo regno l’imperatore di casa Braganza riunì ben 36 gabinetti. Si assicurò che tanto politici liberali quanto conservatori fossero nominati a posizioni di potere. Una spartizione bella e buona delle prerogative di governo che servì ad evitare le tipiche lotte intestine capaci di sovvertire qualunque regime. Come anticipato, non ci fu un solo momento nella storia in cui Dom Pedro agì contro le norme costituzionali. Si applicò per concedere ai sudditi brasiliani ogni tipo di diritto, persino quello di criticare l’istituzione monarchica e sbandierare velleità repubblicane. Noto fu l’atteggiamento dell’imperatore nei loro confronti: invece di silenziare i sostenitori di un Brasile a guida repubblicana, li accorpò nel sistema di governo, concedendo cariche pubbliche e perfino militari.
Il popolo brasiliano ne prese atto e per questo non arrivò mai a sfiduciarlo, neppure nei momenti socialmente più “critici” del regno. Esempio lampante riguarda l’abolizionismo e il tema della schiavitù. Già dagli anni ’40 del XIX secolo, Pietro II non si nascose nell’appoggiare i principali movimenti abolizionisti del paese. Il processo che portò solo nell’agosto del 1888 all’abolizione della schiavitù in Brasile fu lungo e tortuoso, ma partecipatissimo dalla massima carica dello Stato. Alcune tappe meritano quantomeno un accenno:
- Non potendo abolire il sistema schiavistico per decreto – visti i dettami costituzionali – Dom Pedro dovette far leva sulla sua influenza personale per ottenere il sostegno dei politici democraticamente eletti.
- Nel 1850 la tratta divenne illegale sul territorio sotto giurisdizione imperiale brasiliana.
- Al 1871 risale la promulgazione di una legge che garantiva la libertà a tutti i figli di schiavi nati dopo quella data.
- Invece del 1885 firmò una legge con cui dichiarava nullo il vincolo schiavistico delle persone d’età uguale e superiore ai 60 anni.
Questi i passaggi che fornirono i presupposti all’abolizione ufficiale del 1888. Il grandioso risultato tuttavia incrinò i rapporti tra l’imperatore e principali possidenti del paese, coloro i quali detenevano le principali risorse economiche del Brasile. Molti osservatori considerarono quel traguardo la pietra su cui i nemici della monarchia (alcuni ultraconservatori così come la totalità dei repubblicani nei ranghi dell’esercito) edificarono le loro pretese sul cambio di regime, che infatti avvenne di lì a poco.
Pietro II condusse altresì il suo impero nella transizione tecnologica e industriale di metà Ottocento. Come immediata conseguenza della stabilità interna al paese, molti capitali esteri affluirono in Brasile. Durante il regno di Dom Pedro vennero costruiti più di 8.000 km di ferrovie, vitali per l’unificazione sociale ed economica di un impero sconfinato. Così spuntarono come funghi aree industriali nelle principali città del paese: Rio de Janeiro su tutte. E ancora si investì sull’incremento delle principali colture, sull’esportazione di beni quali il caffè o il bestiame, sulla creazione di nuove linee di navigazione e la messa a punto di una rete telegrafica seconda solo a quella statunitense.
Un’eccezionale crescita sotto ogni punto di vista, riflesso di un’innata propensione alla conoscenza da parte dell’uomo, Pedro, prima dell’imperatore, Pietro II. Di lui Victor Hugo scrisse: “Sire, voi siete un grande cittadino, voi siete certamente discendente di Marco Aurelio“ e non stava affermando cose fuori dal mondo. Per stile di vita, dedizione alla causa e raffinatezza culturale, Pietro II era il prototipo moderno dell’imperatore filosofo romano. A riprova potrei fornirvi un elenco chilometrico degli intellettuali che incontrarono Dom Pedro e che rimasero affascinati dalla sapienza dell’imperatore: da Nietzsche a Wagner, passando per Pasteur, de Gabineau, il nostro Manzoni, Herculano e così via. Poliglotta conclamato, riusciva ad esprimersi fluentemente in ben 11 lingue.
Il Palazzo imperiale di São Cristóvão si trasformò in un centro catalitico dello scibile umano. Le sue stanze divennero laboratori di fisica e chimica, altri ambienti furono riconvertiti in camere di sviluppo per i dagherrotipi (egli è considerato il primo fotografo della storia brasiliana). Sorsero perciò osservatori astronomici come biblioteche e si spese molto per incentivare i sudditi allo studio superiore.
Analizzando il lascito materiale di Dom Pedro, non si trovano nei o punti grigi. Anche quando una combriccola di ufficiali si sollevò contro l’autorità imperiale nel 1889 e convinse l’esercito a sostenere la causa repubblicana, l’imperatore non si oppose al fato, benché godesse del sostegno di ampie frange della popolazione. Disse di non volere spargimenti di sangue in suo nome, perciò accettò la destituzione e l’esilio in Francia. Per due anni visse come un comune cittadino, elaborando memorie e ultime volontà. Secondo testamento, si fece seppellire con un libro sotto la testa, come simbolo del dominio che la cultura esercita sulla vita. Inoltre desiderò essere sepolto con un sacchetto contenente la terra prelevata da tutte le regioni brasiliane.
Nonostante la natura repressiva del nuovo regime repubblicano, in Brasile si osservò un informale lutto nazionale. La Francia della Terza Repubblica organizzò un partecipato funerale di stato, con le più alte cariche mondiali a presenziare. Dopo una prima inumazione in Portogallo nel Pantheon reale dei Braganza, le spoglie di Pietro II furono trasferite in Brasile solo negli anni ’20 del Novecento. Quando il governo repubblicano riconobbe all’ex imperatore il merito di aver garantito al paese un apogeo come mai si era sperimentato. Se di Pax brasiliana si può parlare, adesso sapete perché.