Nel 26 a.C. il prefetto della nuova provincia d’Egitto, Gaio Elio Gallo, sotto ordine dell’imperatore Ottaviano Augusto, intraprese una campagna di conquista in quella che allora veniva definita Arabia Felix, ossia la penisola arabica, nell’ideale romano terra ricchissima di tesori e beni di ogni tipo. Un mix di sfortuna, sfrontatezza e cattiva fede condussero Elio Gallo e il suo corpo di spedizione dritti verso il completo fallimento. Il girovagare senza una chiara meta nel bel mezzo del deserto arabico fu l’emblema manifesto della débâcle romana. Vien da chiedersi: come si arrivò a tutto ciò? Come il sogno dell’Arabia Felix sotto il vessillo dell’aquila imperiale si tramutò nell’arco di pochi mesi in un incubo senza fine?
A fornirci le informazioni più dettagliate – anche se non sempre veritiere o comprovabili – è Strabone, geografo contemporaneo ai fatti e anzi, facente parte in primissima persona della rovinosa campagna. Le speranze romane erano ben ravvisabili dalle parole che, secondo Strabone, Augusto pronunciò poco prima della partenza di Elio Gallo. Il primo imperatore si aspettava di “avere a che fare con ricchi amici, o di conquistare ricchi nemici”. Un esplicito modo per dire che con le buone o con le cattive, Roma avrebbe esteso la propria lunga mano sulla ricca e strategica penisola arabica.
Augusto affidò la missione al secondo prefetto d’Egitto in ordine cronologico, Gaio Elio Gallo. Egli era succeduto al quasi omonimo Gaio Cornelio Gallo, ragion per cui spesso si fa confusione su chi abbia fatto cosa. Sulla vita pre-spedizione di Elio Gallo non possediamo praticamente nessuna informazione. Ma per stare dove era, doveva pur avere qualche pregio.
Strabone nella sua Geografia dice che il viaggio del 26 a.C. partì sotto una cattiva stella per colpa di Silleo, capo dei Nabatei e guida ufficiale del generale romano. Per colpa dei cattivi consigli di Silleo, i 10.000 uomini sotto il comando di Elio Gallo avrebbero patito la sete, la fame, il caldo e la fatica che si accumulò dopo 6 mesi di marcia quasi ininterrotta nel deserto arabico.
La guida nabatea consigliò a Elio Gallo di partire alla volta di Leuke Kome, sulla sponda nord-occidentale dell’Arabia. Dall’importante scalo portuale e carovaniero, si sarebbe seguito un itinerario terrestre in direzione sud. Elio Gallo gli diede retta ma ordinò comunque la costruzione di una flotta oneraria. Raggiunta Leuke Kome con infinite difficoltà (venti avversi, scogli e banchi sabbia annessi, più un tocco di scorbuto che non guasta mai) il corpo di spedizione era già decimato. Quindi i Romani vi trascorsero autunno e inverno, ripartendo nella primavera del 25 a.C.
La prima fase della lunga marcia verso meridione terminò dopo tre mesi con l’arrivo di fronte alle porte di Negrana (odierna Najran). I vertici a capo dell’amministrazione cittadina fuggirono e con il primo assalto Elio Gallo si assicurò la città. Il generale romano lasciò una guarnigione e procedette, stando a sentire Silleo, ancora verso sud. Il contingente armato incontrò la resistenza di un piccolo esercito di Arabi, subito soggiogati, come ci racconta Strabone, poiché meno avvezzi alla guerra rispetto alla formidabile macchina bellica romana.
Conquistate Asca e di Athrula (della prima non si conosce la posizione esatta; la seconda corrisponde a Baraqish, Yemen), Gaio Elio Gallo e i suoi incapparono nell’ostinata resistenza di Marsiaba. La capitale dell’antico Regno di Saba tenne occupate le legioni romane per ben sei giorni. Al termine della settimana Elio Gallo ordinò di togliere l’assedio in mancanza di rifornimenti. Erano passati sei mesi dalla partenza e la spedizione sembrava essere giunta ad un punto morto. Dispersi nel deserto, i sopravvissuti optarono per la via del ritorno. Fu in quell’esatto momento che – sempre secondo Strabone – il generale Elio Gallo si rese conto dell’inganno.
Alcuni prigionieri arabi gli rivelarono di aver seguito le strade sbagliate e che il percorso più rapido per tornare lo avrebbe tenuto impegnato per non più di due mesi. E infatti il gruppo impiegò quel tempo per tornare, via mare, ad Alessandria. Nelle Res gestae divi Augusti ci si riferì alla campagna in Arabia Felix come un successo. Strabone smussò (e di molto anche) gli echi di questo grandioso trionfo. Silleo pagò con la testa il presunto boicottaggio. Presunto perché molti elementi a riprova della sua totale colpevolezza sono come minimo discutibili. Se davvero fosse stato un traditore ostile a Roma, perché restò a combattere al loro fianco per tutta la durata della spedizione? Perché fino alla fine Elio Gallo diede retta a quei consigli ritenuti solo dopo sconclusionati?
Quale che sia la verità, una cosa è certa: la potenza imperialistica romana tracciò il solco per altre conquiste in altri territori, ma non tentò mai più, nei secoli a venire, l’assoggettamento dell’Arabia Felix. La prima lezione bastò, eccome.