Alle prime ore del 2 aprile 1982 truppe argentine sbarcarono sulle Isole Falkland, note a Buenos Aires come Malvinas, un arcipelago situato nell’Atlantico meridionale distante dalla terra ferma all’incirca 2.000 km. Il contingente che non contava più di 800 uomini si diresse verso la principale città dell’insediamento, Port Stanley, occupandola. L’azione fulminea colse di sorpresa la piccola guarnigione di Royal Marines a disposizione del governatore locale nominato dai britannici. Già, gli inglesi, perché le Falkland, allora come oggi, facevano parte dei territori d’oltremare di Londra. Il governatore si arrese e la notizia dell’invasione si sparse in tutto il mondo, suscitando reazioni d’ogni genere.
Stupore, amarezza, preoccupazione, sconcerto e non ultima, gioia. Le emittenti televisive del pianeta intero trasmisero le immagini della folla festante tra le strade di Buenos Aires. Sentimenti opposti dall’altra parte dell’Atlantico, in particolar modo sotto l’ombra del Big Ben, dove la popolazione ascoltò in radio o in tv la notizia dell’attacco argentino avvenuto in un angolo remoto del globo, che la maggior parte dei sudditi di Sua maestà non avrebbe saputo neppure indicare su una mappa geografica. Quella che sembrò essere una sconvolgente novità dell’ultima ora in realtà fu l’estremo atto di una contesa secolare.
Secolare, per l’appunto, la presenza europea su quelle aride e ventose terre. Le ipotesi a tal riguardo sono numerose e vedono l’alternarsi di esploratori che in un modo o nell’altro toccarono i lembi delle Falkland tra XVI e XVII secolo. Il primo sbarco noto avvenne solo nel 1690, ad opera del capitano inglese John Strong. Oltre all’abbondanza di oche e anatre, il britannico non restò colpito dall’ambiente circostante. Levò l’ancora in tutta fretta e se ne andò, non prima di aver ribattezzato le isole “Falkland”, in onore del Primo Lord dell’Ammiragliato, il visconte Falkland.
Seguirono vari passaggi di mano tra francesi, inglesi e spagnoli, fino al 1833. In quell’anno una diatriba fra argentini freschi d’indipendenza e cacciatori di foche battenti bandiera statunitense creò un vuoto di potere sulle isole. Londra come suo solito colmò con astuzia quel vuoto, issando l’Union Jack e dichiarandolo territorio della corona nel 1840. In Argentina covarono un profondo risentimento per quella che consideravano essere un’appropriazione indebita. Così già dal secondo dopoguerra le delegazioni di ambo i paesi tentarono di risolverla per vie diplomatiche, ma non trovarono la giusta quadra e le trattative conobbero una brusca frenata.
Toccò alle contingenze storiche sbrigliare un’intricatissima situazione. Come sappiamo nel 1976 l’Argentina divenne un regime dittatoriale militarista di stampo ultranazionalista. La giunta militare non riuscì mai davvero a mantenere saldo il proprio potere e tra crimini contro l’umanità, eccidi mal coperti e violazioni del diritto internazionale, a partire dagli anni ’80 perse progressivamente popolarità. Al vertice del regime si allora trovava Leopoldo Galtieri, il quale decise di fare quello che fanno un po’ tutti quei capi di stato in evidente crisi di consenso: spostare l’attenzione dell’opinione pubblica altrove, magari con una guerra.
Con queste esatte premesse scoppiò la guerra delle Isole Falkland il 2 aprile 1982. Una “guerra antiquata” tra due paesi occidentali per un arcipelago in cui vivevano 600.000 pecore e 1.800 abitanti. Contemporaneamente alla presa di Port Stanley, un battaglione di soldati argentini prese possesso dell’altra isola rivendicata a sud-est delle Malvinas, la Georgia del Sud. Senza ombra di dubbio fu uno schiacciante successo iniziale per Buenos Aires. Tuttavia l’euforia mascherò delle criticità strategiche evidenti, sfruttate magistralmente dalla task force inglese che si apprestava ad intervenire.
Anzitutto la giunta militare argentina pensò, erroneamente, che il Regno Unito posto di fronte al fatto compiuto non avrebbe azzardato una risposta militare. Nelle menti dei generali sudamericani la distanza di circa 12.700 km tra Londra e le Isole Falkland doveva essere un fattore scoraggiante troppo grande per essere affrontato. Non che fosse da sprovveduti pensarlo visti gli atteggiamenti diplomatici quasi “arrendevoli” da parte inglese. Ma in Argentina non avevano tenuto conto di due fattori chiave, i quali avrebbero fatto tutta la differenza di questo mondo:
- L’indignazione dell’opinione pubblica britannica la quale, checché se ne dica, è sempre contata qualcosa da quelle parti.
- Margaret Thatcher, non una che incassa senza rispondere.
Il Primo Ministro cavalcò lo scontento generale e lo trasformò in voglia di rivalsa del popolo inglese. Con l’ausilio dei massimi vertici dell’esercito, la lady di ferro mise in piedi una forza di pronto intervento con i controfiocchi: sottomarini nucleari, navi da combattimento di superficie tra cui cacciatorpediniere lanciamissili, fregate, navi da trasporto truppe e da sbarco anfibio e ben due portaerei, la HMS Hermes e la HMS Invincible. A queste si aggiungevano 40 caccia d’ultima generazione. Tra esercito, marina e aeronautica, Londra schierò 29.000 unità. A fronteggiarle una guarnigione argentina composta da 13.000 uomini.
Prestissimo si delineò il divario tra le due nazioni. Gli argentini occupanti erano perlopiù coscritti con un addestramento basilare, certamente entusiasti, ma le guerre non si vincono a suon di slogan. Gli inglesi al contrario vantavano uomini ben addestrati alla guerra moderna, supportati da mezzi tecnici avanzati.
Altro elemento sottovalutato dalla giunta militare fu l’umore globale a seguito dell’invasione. Tranne qualche paese latinoamericano e pochi astenuti, il mondo si schierò con il Regno Unito. Buenos Aires si illuse sulla neutralità americana (visto lo zampino di Washington nell’istaurazione del regime saldamente anticomunista). Invece il presidente Reagan offrì supporto logistico alle operazioni marittime ed aree dell’Inghilterra. Le Nazioni Unite approvarono una risoluzione a condanna dell’operazione argentina, un invito formale alla ritirata delle truppe nelle Falkland. Nell’atto pratico, Londra ebbe la perfetta copertura diplomatica per esercitare il suo diritto all’autodifesa.
L’ultima carta sulla quale gli argentini riposero tutte le loro speranze fu la superiorità aerea. Sarebbe scorretto non sottolineare l’audacia con la quale i Super Etendard argentini effettuarono le rapide sortite sulla Royal Navy. Per quanto validi, gli attacchi non misero quasi mai in discussione la predominanza inglese sul mare. L’affondamento dell’incrociatore leggero argentino ARA General Belgrano (d’origine statunitense, varato negli anni ’30…) causò la ritirata di tutta la flotta di superficie sudamericana.
Il fallimento aereo e navale argentino comportò lo sbarco anfibio delle truppe britanniche il 21 maggio 1982. Pochi i casi di ostinata resistenza; così il 14 giugno gli inglesi causarono la capitolazione delle forze di terra argentine. La guerra delle Isole Falkland ebbe un chiaro vincitore. La giunta militare decadde un anno dopo, col ritorno alla Casa Rosada di un esecutivo democraticamente eletto. A 13.000 km di distanza il governo Thatcher toccò vette di popolarità mai esplorate prima. Nel 1983 le elezioni generali in Inghilterra premiarono i conservatori, con un secco 42%.
A distanza di 42 anni dagli eventi fin qui descritti, l’Argentina non ha mai smesso di rivendicare le Isole Malvinas. Tuttavia, sono ridotte al lumicino le possibilità che l’Inghilterra rinunci a quelle aride, ventose, ma strategicamente vitali terre nell’Atlantico meridionale.