Storia Che Passione
Accadde oggi: 22 dicembre

Accadde oggi: 22 dicembre

Almanacco del 22 dicembre, anno 1894: il tribunale militare di Parigi condanna Alfred Dreyfus, capitano dello Stato Maggiore francese, alla deportazione perpetua nonché ai lavori forzati sull’Isola del Diavolo, al largo della Guyana francese. L’accusa: alto tradimento. È uno dei momenti apicali dell’Affaire Dreyfus, la più grande controversia giudiziaria, politica e sociale scoppiata in seno alla Terza Repubblica.

Accadde oggi: 22 dicembre

Alfred Dreyfus nacque a Mulhouse il 9 ottobre 1859, in quella che all’epoca era l’Alsazia francese. Suo padre si chiamava Raphaël Dreyfus e di mestiere faceva l’imprenditore tessile. La famiglia di chiare origini ebraiche fu costretta a lasciare l’Alsazia dopo il 1870, a seguito della guerra franco-prussiana. L’ancora giovanissimo Alfred conobbe i dolori della guerra e crebbe in quel di Parigi coltivando un forte senso revanscista e sviluppando, come diretta conseguenza, una netta propensione alla vita militare. Nel 1877 entrò nell’École Polytechnique, dove all’epoca si formavano i più alti ufficiali dell’apparato militare transalpino. Ne uscirà 12 anni dopo col grado di capitano dello Stato Maggiore.

Inquadrato come unico ufficiale di alto grado di origine ebraiche, il capitano Dreyfus subì non poche vessazioni da parte di colleghi e superiori. Ma il caso vero e proprio, per il quale la sua vicenda è divenuta di fama mondiale, scoppiò nel settembre del 1894. Una donna delle pulizie che lavorava presso l’ambasciata tedesca di Parigi consegnò – come da consuetudine – il cestino della carta straccia dell’ufficiale prussiano Maximilian von Schwartzkoppen, ad un militare francese addetto al contro-spionaggio, il maggiore Hubert Joseph Henry. Nel cestino il maggiore Henry scorse un foglietto, al quale ci si riferisce col nome di bordereau, su cui sembravano essere riportate informazioni sensibili inerenti l’equipaggiamento, numero e disposizione delle truppe dell’esercito francese al confine con la Germania.

L’agenzia di contro-spionaggio lanciò l’allarme. Viste le dettagliatissime informazioni inerenti l’artiglieria, si pensò di cercare il “traditore” fra i gli artiglieri. Alfred Dreyfus, facente parte del 31° Reggimento d’artiglieria, era un facile bersaglio viste la sua ascendenza ebraica. In un momento storico in cui in Francia serpeggiava il più caustico antisemitismo, i vertici dello Stato Maggiore lo accusarono di alto tradimento. Scoppiò così l’Affaire Dreyfus, che presto divenne di dominio pubblico.

22 dicembre Alfred Dreyfus

Si fece tutto con una grande fretta. Già il 19 dicembre un tribunale militare diede il via al processo, rigorosamente a porte chiuse. L’elemento sul quale l’impianto accusatorio si soffermò maggiormente fu la somiglianza calligrafica tra il bordereau e la scrittura di Dreyfus. Il 22 dicembre i giudici entrarono in possesso di un dossier segreto, una missiva scritta da un ufficiale italiano (Alessandro Panizzardi) e indirizzata all’omologo tedesco Maximilian von Schwartzkoppen. Sulla lettera si poteva leggere in una data riga “quella canaglia di D.”; i giudici la considerarono una prova schiacciante e procedettero proprio in quel 22 dicembre 1894 alla condanna di Alfred Dreyfus.

Dopo due settimane andò in scena la cerimonia di degradazione secondo l’usanza militare francese. Nel cortile dell’École Militaire, gremito da una folla urlante “morte agli ebrei”, un gendarme strappò le mostrine del capitano Dreyfus e gli spezzò in due la spada di servizio. La stampa andò in visibilio; si potevano leggere quotidiani in cui si richiedeva l’espulsione di tutti gli ebrei dal suolo francese; giornali che inventavano addirittura calunnie nei confronti dell’ufficiale d’artiglieria francese, così da esasperare una vicenda già di per sé campata in aria.

22 dicembre j'accuse di Emile Zola

Dreyfus fu spedito sull’isola del Diavolo a scontare la sua amarissima pena. Nel corso dei mesi però iniziarono a spuntar fuori delle prove a sostegno della sua innocenza. Queste dimostravano semmai la colpevolezza di un altro ufficiale francese, Ferdinand Walsin-Esterhazy. Tanto si fece per insabbiarle, ma non abbastanza. Grazie al buon spirito di alcuni uomini, le prove furono pubblicate e la vicenda giudiziaria venne riaperta nel 1896.

Per l’occasione il fronte a difesa di Dreyfus si fece più corposo, con l’ingresso in scena di politici di spicco, poliziotti di carriera e intellettuali. Nota alla stragrande maggioranza di noi l’arringa pubblicata sulla prima pagina de L’Aurore il 13 gennaio 1898 recante la firma indelebile di Émile Zola. Con quel J’accuse! lo scrittore francese volle mettere a nudo tutto il marcio del sistema stato in Francia, divorato da un’ottusa superbia. Quella del 13 gennaio 1898 fu una lettera aperta indirizzata simbolicamente al Presidente della Repubblica Félix Faure, tuttavia Zola intese le sue parole come un monito al popolo francese, il quale stava smarrendo “l’amore per la libertà”.

J’accuse! causò una detonazione senza eguali nella storia sociale francese. Il paese si spaccò in due, dreyfusardi da una parte, anti-dreyfusardi dall’altra. Il caso giudiziario si fece politico e il governo fu chiamato a rispondere. Si aprì alla possibilità di una revisione del processo a quattro anni di distanza dalla condanna del tribunale di Parigi. Coloro i quali insabbiarono le prove a sostegno di Dreyfus o sviarono le indagini, si pensi al maggiore Henry o al sospettato Esterhazy, provarono a svincolarsi dal giudizio di una corte: il primo confessò i propri crimini salvo poi suicidarsi; il secondo, vero traditore della Francia, optò per l’esilio, prima in Belgio, poi a Londra.

22 dicembre fotografia del secondo processo, 1899

Seguirono ulteriori peripezie. Un ignaro Dreyfus fu richiamato in Francia nel 1899, a Rennes nello specifico. Con le nuove prove a carico, la Corte marziale lo considerò nuovamente colpevole, ma commutò la pena in una detenzione semplice per la durata di 10 anni. Con la morte del presidente Félix Faure e la nomina di Émile Loubet le cose presero una nuova piega. Loubet concesse la grazia, vista anche il cattivo stato di salute di Dreyfus. In cambio l’ex capitano non avrebbe dovuto o potuto provare la sua innocenza in separata sede.

Una sorta di patteggiamento che salvò minimante la faccia all’esercito francese ma che non cancellò l’umiliazione vissuta da Dreyfus. Il caso si concluse ufficialmente il 12 luglio 1906 per volontà della Corte Suprema francese. Essa sentenziò l’invalidità dei precedenti processi e dichiarò innocente l’ebreo alsaziano, reintegrandolo tra le fila dell’esercito. A 47 anni e con una salute cagionevole, Dreyfus si dimise un anno dopo. Morirà nel 1935, in quella Parigi che tanto aveva fatto per ostracizzarlo, salvo poi erigersi in sua difesa nel momento più opportuno.

Quando ritornò in Europa nel 1899 e venne a sapere dalla sua parziale riabilitazione, alla domanda su cosa pensasse dell’accaduto, Dreyfus rispose: “Il governo della Repubblica mi ha restituito la libertà. Non è niente per me senza il mio onore”.