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Congiure incrociate nella Corea del 1968

Congiure incrociate nella Corea del 1968

L’armistizio di Panmunjeom sottoscritto il 27 luglio 1953 pose fine ai combattimenti tra le due anime della Corea, ma non alla guerra stessa. Non sono pochi quelli che dimenticano come per tutti i restanti anni ’50 e ’60 lungo la ZDC le ostilità tra Corea del Nord e Corea del Sud proseguirono, ma a “bassa intensità” – tenendo fede alla dicitura convenzionale. Se l’hanno chiamata “guerra silenziosa” un motivo ci sarà. Nel 1968 queste scaramucce di confine conobbero un’evoluzione, assumendo i connotati di attacchi a tutto campo, senza esclusione di colpi. Il nord comunista e il sud capitalista tentarono a più riprese di destabilizzarsi reciprocamente, talvolta per vie secondarie. Forse le sortite più clamorose risalgono al quadriennio 1968-71, quando nella penisola asiatica ebbero luogo quelle che a me piace definire “congiure incrociate”.

Congiure incrociate nella Corea del 1968

Congiure incrociate, sì, perché come definire altrimenti i vicendevoli tentativi d’omicidio posti in atto dai presidenti-dittatori delle due nazioni? Prima uno, poi l’altro, escogitarono un piano identico spiccicato, tanto nell’organico e nella preparazione quanto nell’esecuzione finale. E se siamo venuti a conoscenza di tutte queste informazioni è solo grazie alla caduta del segreto di stato in Corea del Sud, perché altrimenti storie come questa che sto per raccontarvi sarebbero finite tranquillamente nel cestello delle leggende metropolitane.

Presentiamo dunque i protagonisti di questa novella dal sapore spionistico: Kim Il-sung per la Corea del Nord; Park Chung-hee per la Corea del Sud. Il primo manifestò non poche preoccupazioni per il consolidamento del potere del secondo a Seul, dopo il colpo di stato del 1961 che l’aveva fatto accomodare sulla poltrona presidenziale. Per ovviare al problema, il nonno dell’attuale dittatore nordcoreano incaricò il servizio delle forze speciali di escogitare un piano d’assassinio. L’onere del compito ricadde su 31 uomini, tutti ufficiali, già inquadrati nell’Unità 124, reparto specializzato in operazioni di ricognizione, infiltrazione e sabotaggio.

Corea Kim Il-sung

I fantastici 31 si addestrarono duramente per due anni, dal 1966 al 1968. E con “duramente” intendo “al limite della sopportazione umana” con marce chilometriche a piedi nudi su ghiaccio e neve, intere giornate senza cibo né acqua, notti insonni in compagnia dei cadaveri (così da irrigidire il morale dei soldati, i quali dovevano essere abituati alle peggiori condizioni pur di riuscire nel loro compito finale). Quando i vertici dell’Unità 124 decisero che fosse giunto il momento, sguinzagliarono il commando.

Il 17 gennaio 1968 la squadra varcò la ZDC e, cercando di non farsi scoprire, si addentrò in un’area boschiva al di qua del 38° parallelo. Due giorni di marcia servirono al gruppone per accamparsi sulle montagne di Simbong, qualche ora a nord di Seul. Esattamente in questo luogo accadde l’impensabile: quattro contadini tra di loro fratelli si imbatterono disgraziatamente nel commando di spie assassine. L’idea nell’immediato fu quella di uccidere i civili, così da passare inosservati. Una supposizione condivisa da tutti, o quasi. L’ufficiale in comando dell’unità optò per un approccio diverso e attaccò una ramanzina sulla bellezza dell’ideale socialista, sulle aberrazioni del capitalismo e sull’inammissibile intromissione imperialista americana in affari prettamente coreani.

Corea 38 parallelo

I quattro fratelli prigionieri rassicurarono i loro aguzzini di aver compreso il messaggio e di fare tutto ciò che era in loro potere per esportare il verbo comunista altrove. Appena rilasciati si recarono nella stazione di polizia più vicina e denunciarono quanto successo. La Corea del Sud si mobilitò nell’arco di poche ore, alla ricerca del commando. Quest’ultimo però, nonostante la segretezza della missione fosse andata a farsi benedire, riuscì a spostarsi in tempo senza farsi intercettare dalle pattuglie nemiche. La sera del 20 gennaio i 31 si riunirono in un tempio abbandonato al centro di Seul e passarono alla fase 2 del loro piano. Avrebbero indossato delle uniformi sudcoreane, si sarebbero infiltrate nella Casa Blu (il palazzo presidenziale) per uccidere Park Chung-hee al suo interno.

Al mattino del 21 gennaio si entrò nel vivo dell’azione. La squadriglia superò per miracolo un paio di posti di blocco, ma a poca distanza dall’ingresso della Casa Blu, un poliziotto si insospettì e non li fece proseguire. Come superare un simile impasse? Semplice: lanciando granate e mitragliando come se non ci fosse un domani. Si concretizzò un caos in cui tutti gli agenti coinvolti nella sparatoria indossavano le stesse uniformi di servizio. Nella confusione gli uomini del commando se la svignarono. Nei giorni successivi un solo soldato venne catturato vivo – gli altri furono tutti acciuffati e fucilati sul posto – Kim Shin-Jo, il quale disertò e raccontò per filo e per segno i dettagli dell’operazione speciale.

Corea prigioniero assalto Casa Blu

Venuto a sapere delle specifiche operative dell’Unità 124, il presidente Park Chung-hee volle ripagare l’omologo nordcoreano con la stessa moneta. Anche la Corea del Sud mise in piedi una squadra di assassini, ma a differenza dei cugini comunisti, non li prelevarono dall’esercito bensì dalle carceri. La KCIA (Korean Central Intelligence Agency) scelse per loro il nome di Unità 684. Essi vennero inviati nel 1969 sull’isola di Silmido, lembo deserto circondato dal Mar Giallo ma non troppo distante dalla terraferma. Anche loro affrontarono un addestramento che definire rigoroso sarebbe un eufemismo. Privazioni di ogni tipo, costrizioni e torture inasprirono l’animo di tanti ma falcidiarono la vita di alcuni. In sette vi morirono, mentre negli altri accrebbe con i mesi la voglia di fuggire da quell’infame prigionia.

Corea cartello ZDC

Sì, “prigionia” e non “periodo d’addestramento” perché nel mentre le relazioni tra Nord e Sud Corea erano stranamente migliorate, in tempi così rapidi da rendere obsoleta e quasi imbarazzante l’operazione per la quale l’Unità 684 si stava preparando. La squadra di criminali assoldati dal governo venne lasciata a marcire sull’isola, con la guarnigione di soldati inquadrati nell’aviazione stanziata nella parte opposta di Silmido. I 24 sopravvissuti capirono l’andazzo e si ribellarono la notte tra il 20 e il 21 agosto 1971. Sfogando tutta la loro rabbia repressa, uccisero 18 guardie e ne ferirono una diciannovesima, Yang Dong-su, l’unico che in seguito ai fatti poté fornire una testimonianza lucida su ciò che accadde – e dalle quali parole il regista Kang Woo-suk prese spunto per la realizzazione del film Silmido, uscito nel 2003.

Gli ex membri dell’unità segreta riuscirono in qualche modo a raggiungere Seul, dove però l’intervento armato della polizia si dimostrò risolutore. Morirono quasi tutti: chi ucciso dagli agenti, chi suicida. Le forze dell’ordine riuscirono a fare solo quattro prigionieri, i quali furono prontamente processati e condannati alla pena capitale. Il governo di Seul prese le distanze da quanto accaduto, disconoscendo l’Unità 684 e negando ogni collegamento. Pyongyang non fu da meno, facendo la stessa cosa per la loro Unità 124.

Corea palazzo Casa Blu

Per decenni non si è saputo quasi un bel niente della vicenda. Solo nel 2006 la Corea del Sud ha ammesso la paternità del piano. Un esito che tuttavia non ha toccato i protagonisti di quella vicenda, morti anni prima. Kim Il-sung nel 1994 per cause naturali. Leggermente più beffarda la fine dell’altro presidente autoritario. Park Chung-he è stato fatto uccidere dal capo della già citata KCIA nel 1979, lo stesso uomo al quale il presidente si era rivolto anni prima per la messa a punto del piano omicida a danno del suo rivale.