Fotografia di anonimo, viadotto della Fiumarella, periferia di Catanzaro, Calabria, 1961. Lo scatto è tragico e racchiude una pagina di storia nefasta. Le persone attonite raccolte attorno al vagone caduto dal viadotto ricreano il clima perfetto di quel 23 dicembre 1961. Ben 71 passeggeri persero la vita in quel disastro ferroviario che forse avevamo dimenticato.
È una fresca mattinata di dicembre, le feste natalizie si avvicinano ma in questo tragico anno il rosso che colora il Natale sarà quello del sangue. Alle 7:45 qualcosa va storto a bordo del treno che segue la tratta Cosenza-Catanzaro. Nei pressi dell’immediata periferia del capoluogo calabrese un rimorchio deraglia a causa della rottura di un gancio di trazione. Si stacca dalla motrice e segna la tragedia, cadendo da un’altezza di circa 47 metri.
Al suo interno si trovavano ben 99 passeggeri. Di questi, come già riportato, ben 71 perdono la vita. Gli altri 28 rimangono feriti. Ma a sanguinare sarà tutta la Calabria e l’Italia intera. Era un incidente troppo grave, troppe persone persero la vita accidentalmente e in maniera brutale. Anche lo shock istituzionale fu forte e vennero prese drastiche misure.
Le Ferrovie Calabro Lucane persero la loro concessione e si attivò la gestione commissariale governativa. L’incidente del viadotto della Fiumarella suscitò anche un intenso dibattito parlamentare che si concluse con la legge n°1855 dello stesso 23 dicembre di due anni dopo, nel 1963. Questa stabiliva la già citata sospensione alla Mediterranea Calabro Lucane, sostituita con l’istituzione del servizio di autotrasporti tra Soveria Mannelli e Catanzaro.
Iniziò inoltre un’inchiesta ministeriale guidata dal Procuratore della Repubblica Luigi Ammirati. Alla fine si trovarono i colpevoli, anche se questo nulla restituisce alle vittime e alle loro famiglie. Alla fine arrivò la condanna per omicidio plurimo, disastro e lesioni colpose il macchinista Ciro Miceli e per il capotreno Luigi Aristodemo. Le loro colpe inerivano l’eccessiva velocità a cui condussero il treno (63 km/h a fronte dei 35 km/h concessi dalle cattive condizioni della tratta).
Nell’aprile del 1966 arrivò la condanna definitiva dello stesso Tribunale di Catanzaro per il solo macchinista. 10 anni di carcere per i vari reati senza che a nulla valesse il tentativo della sua difesa di sostenere che l’eccessiva velocità fosse causata da un malfunzionamento ai freni.