Almanacco del 17 dicembre, anno 1961: un rapido intervento militare indiano, indicato col nome in codice di Operazione Vijay (in hindī विजय, letteralmente “Operazione Vittoria”), conduce all’occupazione e alla successiva annessione dell’enclave portoghese di Goa. La repentina azione bellica ha esito positivo per il giovane stato indiano: dopo 451 anni termina il dominio coloniale lusitano.
Risale al 1510 la presa di Goa da parte portoghese. In quel primo frangente di XVI secolo, una spedizione ben armata e con chiari intenti bellici proveniente da Lisbona sconfisse il sultano locale e fondò una stabile colonia commerciale, chiamata Velha Goa. A lungo il Portogallo vedrà in Goa, affacciata sul Mar Arabico, la sua più lucente perla. In poco più di quattro secoli, la cultura europea – e in particolar modo quella lusitana – si radicò profondamente in questo lembo di terra nel subcontinente indiano. Dalla religione all’aspetto culinario, passando per la lingua e l’inconfondibile stile architettonico iberico, Goa ancora oggi sembra un pezzo di Europa trapiantato in India.
Nel bel mezzo del Novecento tuttavia il rapporto tra la madre patria e la popolazione locale iniziò ad incrinarsi. Negli anni ’20 si formarono i primi movimenti indipendentisti anti-portoghesi. Quasi ininfluenti fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, dopo di essa questi movimenti per l’indipendenza di Goa conobbero un gran rispolvero. L’indipendenza dell’India (trattata nel dettaglio in questo articolo) favorì e non poco la loro causa. Il governo Nehru appoggiò e addirittura finanziò le operazioni di sabotaggio di gruppi indipendentisti aventi sede in territorio indiano. Ovviamente essi si cimentavano in azioni transfrontaliere di danneggiamento, mirando alle infrastrutture.
Ciò avvenne per un motivo: il premier Jawaharlal Nehru fin dal 1950 aprì un canale diplomatico con Lisbona. Il primo ministro chiese di porre sul tavolo delle trattative la questione dell’indipendenza di Goa. Il Portogallo del dittatore Salazar eresse un muro di mattoni e non volle ascoltare ragioni. Dalla loro prospettiva, Goa era portoghese da tanto, troppo tempo. L’India, che in quanto a statualità propria era una creatura di recente formazione, non poteva di certo reclamare un “piccolo angolo di Portogallo bagnato dal Mar Arabico”. Dehli interruppe le relazioni diplomatiche con Lisbona e tra i due paesi si instaurò un clima tesissimo. Il governo indiano ricorse addirittura ad una sorta di embargo a danno di Goa fino a quando la situazione non si sarebbe risolta.
Seguirono episodi di cruenta violenza perpetrata dai soldati portoghesi nei confronti della popolazione manifestante di Goa. Episodio particolarmente noto è la strage del 15 agosto 1955. In occasione di una protesta pacifica condotta da circa 5.000 cittadini indiani, i quali tentarono di attraversare la frontiera con Goa, la polizia di confine portoghese aprì il fuoco. Morirono circa 30 persone (alcune stime riferiscono 21 vittime, altre 30). Salazar era cieco di fronte all’evidenza dei fatti. Mantenere Goa, così come tutti gli altri possedimenti coloniali, era uno sforzo troppo grande per il piccolo Portogallo. Quando il ministro della difesa Júlio Botelho Moniz contattò il padre-padrone dell’Estado Novo, asserendo l’impossibilità di difendere con successo Goa, Salazar rispose con un netto ed emblematico “I nostri soldati e marinai possono essere vittoriosi o morti”.
La dittatura lusitana pagò a caro prezzo l’ottusità politica e diplomatica. Il 17 dicembre 1961 l’esercito e la marina indiana mostrarono i muscoli nell’Operazione Vijay. Una forza composta da 45.000 truppe di terra, una portaerei leggera, due incrociatori, un cacciatorpediniere, otto fregate e quattro dragamine, a cui si aggiungevano cinquanta velivoli tra caccia e bombardieri, allungò la sua imponente ombra su Goa. A difesa di quel piccolo angolo di Portogallo non vi erano neppure 10.000 uomini (solo 4.000 a terra). Scontri veri e proprio quasi non ve ne furono e quei pochi che si verificarono causarono la morte di poche decine di soldati da una parte e dell’altra.
Dal 17 dicembre al 18 dicembre; in due giorni si sgretolò la salda presa portoghese su Goa, che durava da ben 451 anni. Il governatore di Goa, Manuel António Vassalo e Silva, disobbedì agli ordini che giungevano da Lisbona e che imponevano la difesa ad oltranza e si arrese alle forze armate indiane. Un gesto logico, che risparmiò ulteriori inutili morti, ma che in patria giudicarono negativamente, tacciando il governatore di codardia. I tribunali portoghesi condannarono Manuel António Vassalo e Silva all’esilio. Questo durò fino al 1974, anno in cui con la rivoluzione dei garofani decadde il quarantennale regime dittatoriale.