«Lampo ha solo voluto vivere in un modo diverso da tutti i suoi simili, viaggiando per conoscere non soltanto un po’ del nostro mondo, ma anche la vita e i sentimenti degli uomini» – Elvio Barlettani.
Veniva dall’America eppure sembrava conoscere a menadito il territorio italiano, nello specifico quello dell’Alta Maremma, con i suoi inequivocabili dolci rilievi e le sue stradine sterrate di campagna. Un eccezionale senso dell’orientamento era il suo più spiccato talento, messo in mostra per ben 8 lunghi anni, dal 1953 al 1961. Estremi temporali che circoscrivono la vita di Lampo, un “piccolo bastardello pezzato, senza famiglia né dimora” per dirla con le parole dell’uomo che da conoscente diventerà suo amico e padrone. Quell’uomo si chiamava Elvio Barlettani e di mestiere faceva il vice capostazione nello scalo ferroviario di Campiglia Marittima, provincia di Livorno.
Ed è qui che inizia questa storia, splendida e un po’ singolare, che racconta tanto di noi, gli italiani, ma anche tanto di un paese semplice nella sua complessità. Il meticcio comparve da un giorno all’altro nella stazione di Campiglia Marittima in un afoso (occhio e croce) giorno di agosto del 1953. Scese da un treno merci di passaggio e subito si ambientò. Il signor Barlettani lo scrutò e, persuaso dalla figlia Mirna, decise di tenerlo al sicuro nel suo ufficio per un periodo di tempo limitato, pensando al da farsi solo successivamente. Il “da farsi” si tramutò nella volontà da parte della famiglia Barlettani, residente a Piombino, di adottare il cane, chiamandolo Lampo. Sì, Lampo, nome appropriato per una scheggia d’animale, in grado di percorrere lunghe distanze in tempi record.
“Distanze” e “record“, due termini con i quali poter e dover identificare Lampo. Il meticcio pezzato imparò con una velocità straordinaria a conoscere la stazione di Campiglia Marittima, le persone che ci lavoravano, i treni in transito e le loro prerogative di viaggio. Iniziò a salirvi con la consapevolezza di un essere umano. Arrivò persino a prendere coincidenze per Piombino, accompagnare la padroncina Mirna a scuola per poi riprendere il treno in senso opposto e tornare a casa. La straordinarietà che da quelle parti, nel bel mezzo della Maremma livornese, divenne l’ordinarietà.
Lampo non si fermava mai, saliva e scendeva dai vagoni quotidianamente, toccando città, province, regioni sempre più lontane. Poi tornava sempre e nessuno aveva idea di come facesse ad azzeccare la giusta coincidenza. La direzione ferroviaria di Firenze dopo qualche anno costrinse Barlettani a sbarazzarsi del cane. Non fu una scelta semplice ma alla fine si optò per Napoli, ultima destinazione di un viaggio sino ad allora meraviglioso. Dalla città partenopea il meticcio non ci mise un bel niente ad intrufolarsi in un treno e risalire il Belpaese fino a Campiglia Marittima. Sorpresi ma affranti, i suoi proprietari, i quali dovettero rispettare le direttive, lo spedirono a Barletta, da un contadino che se ne sarebbe preso cura.
Cinque mesi, ecco quanto durò “l’esilio” di Lampo. Ricomparve nella stazione toscana all’improvviso, come era accaduto in quell’agosto 1953, questa volta per potervi restare a tempo indeterminato. Negli ultimi anni della sua vita divenne la mascotte dello scalo, attirando su di sé l’attenzione mediatica nazionale ed estera. Solo per dirne una: esiste un servizio RAI dedicato a Lampo risalente al 1958. Si scoprì, grazie alla testimonianza attendibile di un senzatetto del porto di Livorno, che il cane proveniva dagli Stati Uniti d’America. L’uomo raccontò di aver convissuto con Lampo per due anni, dal 1951, momento in cui scese da una nave americana, al 1953.
Il 22 luglio del 1961 Lampo se ne andò. Ironia della sorte, fu un treno merci – lo stesso che lo aveva condotto 8 anni prima a Campiglia Marittima – ad investirlo, fatalmente. Venne seppellito in un’aiuola della stazione, sotto un albero di Acacia, per alcune culture simbolo di immortalità e persistenza. Immortale e persistente è il ricordo di Lampo, la cui storia ha ispirato opere letterarie ed artistiche. Una statua, voluta dai ferrovieri che conoscevano Lampo e realizzata dallo scultore Andrea Spadini, preserva la memoria del cane.