Nel 1784 gli Stati Uniti d’America erano ancora un’entità statale “fluida”, soggetta a repentini mutamenti amministrativi, economici e politici. Ancora non esisteva una carta costituzionale – l’avrebbero stilata di lì a poco – e i rapporti tra le ex tredici colonie britanniche erano reciprocamente regolamentati da una sommaria lista di articoli confederativi. Importantissimo poi tenere a mente il seguente aspetto: i coloni americani ora indipendenti vivevano anche al di fuori dei tredici stati, in comunità definite “extralegali” non propriamente vincolate all’autorità governativa federale. Una di queste comunità si fece prima repubblica, in seguito stato, salvo poi vedere la sua autonomia svanire nel giro di poco tempo. Una storia singolare e poco nota quella che voglio raccontarvi. Dunque ecco a voi lo Stato di Franklin, la repubblica fantasma incastonata tra gli stati americani degli albori.
L’effimera esperienza dello Stato di Franklin affonda le sue radici in una controversia giudiziaria. Non certo un inizio felice. Tra le sponde del fiume Mississippi e le vette degli Appalachi centrali, degli insediamenti cercarono l’autogoverno tramite la concessione di terreni federali. Caso emblematico fu quello del Franklin State, altresì noto come State of Frankland, oggi parte del Tennessee orientale ma un tempo estrema propaggine occidentale della Carolina del Nord.
Dopo la guerra d’indipendenza queste terre densamente popolate vissero anni di instabilità. Perché se da una parte esse rispondevano all’autorità della Carolina del Nord, dall’altra facevano parte dei territori ancestrali della nazione Cherokee, quest’ultima tutt’altro che in buoni rapporti con gli USA. Per un mero calcolo rischi-opportunità, la Carolina del Nord mise in vendita quelle terre occidentali: poco meno di 12 milioni di ettari. Gli acquirenti altro non erano che uomini vicini al governo federale, per lo più latifondisti. L’acquisizione fu considerata quantomeno ambigua dalla stragrande maggioranza degli stati. Ne conseguì la controversia legale precedentemente citata.
Da tali premesse, alcuni coloni, all’incirca 5.000 secondo le fonti dell’epoca, proclamarono la nascita dello Stato di Franklin, con capitale Jonesborough. Ciò accadde nell’agosto del 1784. Il nuovo stato si dotò di propri organi di governo (per questo si parla di “governo parallelo” rispetto all’autorità federale) e per quanto riguarda l’amministrazione, la rese decentralizzata ma approssimativa.
Appena nata, la repubblica si mostrò premurosa nel dichiararsi indipendente, tanto dallo stato della Carolina del Nord quanto dal Congresso con sede a Washington. La secessione comportava molti rischi, tra cui quello di isolamento in caso di aggressione, plausibile visto il malcontento dei nativi. Eppure l’autogoverno di Jonesborough sembrò non interessarsene, preferendo continuare per la sua strada.
Nel 1785 la repubblica cambiò capitale, trasferendo la sede governativa a Greeneville, ed emanò una prima costituzione, nota come Costituzione di Houston. C’è da dire come la carta costituente fosse abbastanza radicale, persino per le ex colonie americane. Tra le sue righe si leggevano cose come “legislatura unicamerale”, “libertà di culto e di professione”, “istituzione di un regime democratico aperto”. Per carità, ideali belli solo su carta, perché nell’atto pratico a detenere le redini del potere erano gli uomini bianchi detentori di un qualche bene (non per forza immobile, novità questa per l’epoca). La costituzione dello stato proibiva infine la possibilità per avvocati, dottori o ecclesiastici di candidarsi per le cariche pubbliche.
La storia dello Stato di Franklin, come si sarà capito, è colma di lati bui, incertezze e cambi improvvisi di programma. La Costituzione di Houston fu subito abrogata dalla maggioranza dei coloni. Dunque si votò per l’adozione di una nuova carta costituente che era la copia sputata di quella della Carolina del Nord. John Sevier, veterano ed eroe di guerra, divenne il governatore dello stato. Dalle parti di Greeneville ebbero la smania di distinguersi e farsi riconoscere. Con questa volontà, un delegato si presentò al Congresso federale chiedendo il riconoscimento ufficiale della Libera Repubblica di Franklin come 14° stato della federazione. Washington rispose con un plateale “le faremo sapere…”.
Fallendo nell’obiettivo principale, quello di farsi riconoscere a livello statale, Greeneville fece un buco nell’acqua essenzialmente in tutto il resto. L’economia si reggeva praticamente sul baratto (persino il governatore riceveva la paga in pelli di cervo e tabacco) e l’assenza totale di infrastrutture non faceva altro che peggiorare una situazione di per sé disperata. Iniziarono le lotte intestine tra i coloni e a queste si aggiunse la paura di essere attaccati dai Cherokee, i quali non a torto rivendicavano le terre sulle quali vivevano i cittadini.
Nel 1787 la fazione franklenita aspirante alla riunificazione con la Carolina del Nord divenne quella maggioritaria. Sevier le provò tutte pur di difendere quantomeno l’autonomia – perché di indipendenza era ormai impossibile parlare. Addirittura il governatore offrì agli spagnoli l’annessione della repubblica, con quest’ultimi che non si degnarono neppure di rispondere. La pietra tombale sullo Stato di Franklin fu posta tra il 1788 e il 1796. In quel ottennio scarso Greeneville perse in ordine: l’indipendenza, l’autonomia, la statualità. Nel 1796 sarebbe divenuto parte del 16° stato americano, il Tennessee.