Almanacco del 29 novembre, anno 1781: nelle acque caraibiche ha luogo il massacro della negriera Zong, un bestiale eccidio che costò la vita a 142 schiavi, gettati in mare e dunque condannati a morte certa per meri motivi assicurativi. L’episodio attirò ancor più l’attenzione globale sull’orrore della tratta atlantica degli schiavi africani e in poco tempo divenne un simbolo per il neonato movimento abolizionista. L’accaduto del 29 novembre 1781 ha rappresentato nei secoli a venire un’inesauribile fonte di ispirazione per opere artistiche e letterarie di denuncia e sensibilizzazione inerenti il tema della schiavitù.
A progettare la Zong furono gli olandesi, che nel 1777 le fecero prendere per la prima volta il mare in qualità di negriera. Catturata dagli inglesi nel corso della quarta guerra anglo-olandese (1780-1784), questa venne acquistata nel febbraio del 1781 da un consorzio di commercianti schiavisti di Liverpool. Soci di maggioranza erano i fratelli William, James e John Gregson. Particolarmente noto nel giro d’affari era William Gregson, ex sindaco di Liverpool, da più di trent’anni coinvolto direttamente nella tratta atlantica di schiavi. Si stima che lui da solo sia il responsabile (contando anche le compartecipazioni finanziarie e non solo organizzative) della deportazione forzosa di quasi 60.000 schiavi africani verso il Nuovo Mondo.
Importante, ai fini della narrazione, soffermarsi brevemente sulla questione assicurativa. La compagnia di Liverpool assicurò l’imbarcazione e il suo “carico” solo a seguito della partenza dalle coste ghanesi, avvenuta ad Accra il 18 agosto 1781. Inoltre è bene specificare come il rischio residuo era totalmente a carico dei proprietari.
L’affidamento della Zong ricadde sull’inesperto Luke Collingwood. Per intenderci, prima dell’incarico egli lavorava come chirurgo sulle navi di proprietà dei Gregson. L’equipaggio della negriera alla partenza contava 17 uomini. Troppo pochi per una nave di quelle dimensioni. A ciò si aggiunga che la prevalenza dei marinai era olandese. Gli inglesi li catturarono mesi prima e li riassoldarono per il viaggio. La Zong salpò da Accra con 442 schiavi, numero che sforava – e di tanto anche – le soglie di sicurezza imposte per legge (esisteva un rapporto fisso tra il quantitativo di carico e il tonnellaggio dell’imbarcazione: 1,75 schiavi per tonnellata di capacità).
Dopo una veloce tappa a São Tomé per il rifornimento di acqua potabile, l’imbarcazione riprese il largo. Attraversando il “passaggio di mezzo” (“Middle Passage”, ossia la parte intermedia nella rotta triangolare che univa Europa, Africa e Americhe), la Zong entrò in acque caraibiche tra il 18 e il 19 novembre. Dopo aver contratto una non meglio specificata malattia, il capitano Collingwood delegò il comando della nave. Il problema è che la delega venne assunta da più di un uomo, perciò la ripartizione della struttura di comando fu confusa sin da subito. Secondo gli storici, ciò influì e non poco sulla tragedia che di lì a poco si sarebbe materializzata.
Fra il 27 e il 28 novembre, dalla nave si avvistò la Giamaica. Per un errore di calcolo, si credette di aver posato lo sguardo sull’isola di Hispaniola. Dunque si proseguì verso ovest, lasciandosi la Giamaica alle spalle. L’equipaggio capì lo sbaglio a 13/14 giorni di distanza dall’ultima isola caraibica (circa 480 km di lontananza; l’immagine di cui sopra aiuta nella comprensione). A bordo la situazione, già compromessa dalla morte di alcuni marinai e di 62 schiavi, degenerò. Il primo pensiero degli ufficiali fu rivolto ai fastidi assicurativi incontro ai quali si stava correndo.
Secondo l’assicurazione, il risarcimento non avrebbe soddisfatto gli armatori di Liverpool nei seguenti casi:
- Morte naturale degli schiavi sulla nave;
- Morte (senza specifiche di alcun tipo) degli schiavi a terra.
Per poter far ricorso alle clausole assicurative restava una sola opzione: la dispersione in mare del “carico” o parte di esso per salvare il restante. L’equipaggio si riunì in assemblea il 29 novembre e alla fine optò all’unanimità per questa barbara soluzione. 54 tra donne e bambini (ovvero i meno remunerativi in un ottica produttiva…) finirono in mare dalle finestre delle cabine. Altri 78 uomini fecero la stessa fine nei giorni a seguire. In segno di estrema protesta contro una simile ferocia, 10 schiavi decisero autonomamente di gettarsi in mare aperto.
Dopo l’eccidio, la nave virò in direzione della Giamaica, approdandovi il 22 dicembre. Interrogati sull’irregolarità riscontrata sui documenti di bordo (in riferimento al carico dichiarato e quello effettivo), gli ufficiali della Zong dissero di aver gettato in mare alcuni schiavi in mancanza di acqua potabile. Un atto disperato ma necessario il loro, senza il quale non si sarebbe garantita la sopravvivenza degli altri. Forti di una simile tesi la difesa si presentò al procedimento giudiziario del 1783.
Esatto, perché l’ente assicurativo non volle onorare il credito accumulato dalla compagnia commerciale di Liverpool. Ragion per cui quest’ultima espose denuncia. Prima dell’inizio delle udienze il registro di bordo della Zong sparì, anche se si accumulò abbastanza prove per la tesi accusatoria. La controversia conobbe una conclusione a dir poco grottesca: la corte si pronunciò asserendo come il massacro della Zong del 29 novembre fosse “giuridicamente giustificato“ e come “la richiesta di risarcimento dei proprietari sarebbe stata valida se la carenza di acqua non fosse dovuta ad errori commessi dal comandante”.