Uno strumento che non sfigurerebbe nella colonna sonora di un qualsiasi film horror è di sicuro quelli ribattezzato con l’inquietante nome di fischietto della morte azteco. Che non è il fischietto che Gianbasilio, il bambino del piano di sotto, si ostina a suonare dalla mattina alla sera sfracellandoci i timpani, bensì un antico strumento musicale il cui suono viene percepito dal cervello umano come terribilmente spaventoso.
La storia del fischietto della morte
Già ve ne parlammo in passato ma un recente studio pubblicato sulla rivista Communications Psychology ha approfondito la questione del perché il suono di tale fischietto sia così indicibilmente pauroso per le nostre orecchie. Ma che cos’è il fischietto della morte azteco?
Si tratta di piccoli strumenti a fiato a forma di teschio rinvenuti all’interno delle tombe delle vittime sacrificali e di altri defunti nei cimiteri degli Aztechi. Questi fischietti hanno la prerogativa di produrre un suono inquietante e sinistro che, quando si soffia con forza, ricorda almeno in parte un urlo umano.
Immaginate il concerto di fine anno alle elementari di Gianbasilio e della sua gang di amici, tutti a emettere suoni striduli da quei poveri flauti dolci. Ecco, incredibilmente il fischietto della morte è ancora peggio. Non si sa esattamente a cosa servissero tali fischietti, ma la ricerca attuale si è concentrata su una questione leggermente diversa (seppur correlata).
L’idea, infatti, era quella di scoprire come il cervello umano reagisse a questi suoni acuti, quasi ultraterreni e che ricordano il vento. Così hanno reclutato dei poveri volontari a cui è stato chiesto di ascoltare questi fischietti aztechi suonati mentre le loro attività cerebrali erano tenute sotto controllo.
Gli scienziati hanno così scoperto che questi strumenti inquietanti producono suoni che chi ascolta percepisce come sgradevoli e spaventosi. I suoni dei fischietti sono percepiti come spaventosi, con un’origine ibrida naturale e artificiale. I suoni attirano l’attenzione della mente, imitando altri suoni similari prodotti in natura. Durante il monitoraggio, ovviamente c’era un aumento delle attività delle regioni uditive del cervello. Ma questo era abbastanza prevedibile.
Ben più interessante scoprire, invece, che la corteccia uditiva era in stato di massima allerta mentre sentiva questi suoni, il che vuol dire che il cervello li percepiva come minacciosi. Si pensa, dunque, che gli Aztechi potrebbero aver sfruttato per scopi psico-affettivi questi suoni. In altre parole: gli Aztechi erano ben consci degli effetti che i loro fischietti avevano sulla gente e sfruttavano tale cosa a loro vantaggio.
Il primo fischietto funebre azteco ritrovato è quello di Città del Messico. Nel 1999, da una tomba di un ventenne apparentemente vittima di sacrifici umani aztechi, ecco che emerse uno di questi fischietti. Da allora gli archeologi ne hanno trovati altri, tutti in tombe risalenti al 1250-1521 d.C. Spesso tali fischietti si trovano nelle tombe delle vittime di sacrifici umani.
Secondo gli autori dello studio, questi fischietti sono in grado di produrre una vasta gamma di suoni, anche in base alle loro dimensioni. Ci sono quelli che producono suoni morbidi, simili a sibili, ma altri che emettono suoni che ricordano urla.
In alcuni casi questi fischietti erano usati durante i sacrifici rituali. In altri, probabilmente, durante riti di guerra. Tuttavia non ci sono prove, invece, che i guerrieri Aztechi li portassero con sé sul campo di battaglia per spaventare i nemici. E ancora: alcuni fischietti, come quello del tempio di Tlatelolco, dedicato al dio azteco del vento Ehecati, potevano essere usati per rendere omaggio a tali divinità.