Agenti segreti, informatori, diplomatici doppiogiochisti, spie; figure caratteristiche dell’epoca medievale. Pedine d’eccezione di un gioco intricato, fatto di cospirazioni, trame più o meno occulte, rivolgimenti politici. Essere una spia nel Medioevo – con tutte le problematiche che una periodizzazione così larga e generica comporta – significava svolgere un lavoro remunerativo certamente, ma pericoloso e potenzialmente fatale. Resta da chiederci: in che modo e perché?
Partiamo dalle banali puntualizzazioni, di cui ritengo essere il maestro: il mestiere della spia nasce a fronte di un’esigenza semplice e lineare, quella di sapere cosa accade dall’altra parte della barricata. Saperlo con largo anticipo e per vie traverse – soprattutto se al di là del confine si trova una forza ostile – può comportare innumerevoli vantaggi lato pianificazione, reperimento risorse, rapidità d’esecuzione e via discorrendo. In un’Europa medievale sempre più frammentata a seguito del declino carolingio, e quindi un continente in cui di confini e barricate se ne levarono a sproposito, potersi avvalere di un informatore attento e caparbio poteva fare la differenza.
Sebbene la professione nasca in seno alla più remota antichità (gli Egizi la sapevano lunga), “spia” è un vocabolo figlio del Medioevo. Stando ai documenti in nostro possesso, la parola compare per la prima volta nel 1264, quando funzionari veneziani la usarono per descrivere alcuni tedeschi sospetti che si aggiravano in laguna alla ricerca di informazioni. E dove, se non a Venezia, se ne sentì parlare la prima volta in questi termini. La Serenissima vantò a lungo il servizio segreto operativo meglio organizzato dell’intero Occidente, con fondi ad esso destinati pressoché infiniti e con una rete informativa non vasta, di più.
Solo per tirare in ballo due aneddoti tipicamente veneziani: il primo riguarda le cosiddette boche de leòn, speciali cassette dove chiunque poteva depositare lettere contenenti informazioni sensibili utili alla causa veneziana (un incoraggiamento popolare allo spionaggio); il secondo fa riferimento ad una figura di governo, chiamato Segretario alle cifre (istituzione ufficiale dal 1506, esistente tuttavia dal XIV secolo) al quale veniva affidato il compito di amministrazione, supervisione e smistamento delle informazioni sensibili che aleggiavano tra i canai di Venezia, una specie di “ministro delle spie”.
Facendo un passo indietro e scavando più a fondo nell’identità della tipica spia medievale scopriamo come, ad esempio, spesso questa vantasse un lignaggio nobile e anche come fosse vicina al signore o al sovrano per cui operava. Gli araldi, per l’appunto.
Diverso era il discorso per i diplomatici a corte. La storiella per cui ogni ambasciatore poteva essere virtualmente un agente segreto era vecchia come il mondo. Benché pretestuoso, tale giudizio affondava le sue radici in una parvenza di realtà storica. Quelli del consiglio reale inglese lo sapevano benissimo. Durante i preparativi per la battaglia di Azincourt (25 ottobre 1415, guerra dei cent’anni) re Enrico V d’Inghilterra comandò l’incarcerazione temporanea di tutti gli ambasciatori francesi stanziati a Londra. Un provvedimento draconiano atto a prevenire qualsiasi fuga d’informazioni.
Quindi per essere una spia si doveva per forza di cose nascere aristocratici o ricoprire un ruolo di potere a corte? Non necessariamente, anzi. Molto di frequente si ricorreva a medici, artigiani, mercanti, religiosi, banchieri e, perché no, stallieri (Giacomo IV di Scozia si sente giustamente chiamato in causa). Poi vi era quella categoria di informatori che non erano né ufficiali, né occasionali, bensì “involontari”. Senza essere troppo critici, si trattava di quelle spie che finivano per essere scoperte e tra il cappio e il rischiosissimo doppio gioco sceglievano quest’ultima strada.
Esempi più o meno assodati se ne conoscono. Federico Barbarossa estrapolava non poche notizie dai suoi fedeli infiltrati nella Lega Veronese e nella successiva Lega Lombarda. L’Italia quattrocentesca, centro politico, finanziario e dunque economico dell’Europa, rappresentava un polo attrattivo di rilievo per agenti segreti e diplomatici non proprio in regola. Qualche anno fa è salita alla ribalta la notizia di una lettera crittografata datata 30 gennaio 1468 battuta all’asta per non pochi euro. Fu tale Giovanni Blanco a redigere la missiva per conto di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano e suo committente. Nella lettera si faceva riferimento ad alcuni movimenti sospetti, di matrice papale, che da Roma sembravano minacciare la stabilità raggiunta con la Pace di Lodi del 1454.
Un doppiogiochista che ha lasciato il segno nella storia è sicuramente Thomas de Tuberville. Il cavaliere inglese, informatore della corona, non riuscì a portare a termine il suo lavoro e nel 1294 finì agli arresti. I francesi lo costrinsero, pena la morte, a lavorare per loro conto a Londra. Per ricattarlo fecero leva sui figli del cavaliere, tenuti in ostaggio in Francia. Il doppio gioco di Thomas de Tuberville durò neppure un anno. Gli uomini di Edoardo I d’Inghilterra lo scoprirono e lo condannarono a morte al cospetto della Torre di Londra.
Avviandomi alla conclusione, vorrei rendervi partecipi della metodologia usata dagli agenti segreti per criptare le informazioni recapitate. La tecnica più intuitiva consisteva nella sostituzione di parole e frasi con numeri e simboli. Chiaramente il destinatario possedeva una chiave di lettura utile a decifrare il contenuto della lettera. Eppure c’era chi andava leggermente oltre, rendendo il corpo delle missive sensibili ambiguo e per questo originale secondo un cifrario noto esclusivamente alla stretta cerchia di riferimento. Ancora una volta devo tirare in ballo Venezia. I mercanti-spia della Serenissima Repubblica fornivano informazioni criptate basandosi su una terminologia specifica. Quindi nel dire “stoffe verdi” indicavano i soldati spagnoli. Nel parlare di “stoffe vermiglie” si riferivano invece ai turchi. Quando si raccomandava l’utilizzo di una “tovaglia da tavola” si indicava l’urgente sfruttamento dell’artiglieria. Serviva della polvere da sparo per operazioni militari? Bastava chiedere nella lettera “una libbra di seta”…