Fotografia di anonimo, Saigon, Vietnam, a cavallo tra anni ’60 e ’70 del Novecento. Delle “ragazze da bar” (dall’inglese “bargirls”) attendono l’arrivo della clientela americana negli anni della guerra. Soprattutto a partire dal 1965 il fenomeno della prostituzione in Vietnam divenne dilagante, raggiungendo numeri impressionanti. La capitale del sud, Saigon, assunse in brevissimo tempo la nomea di “bordello d’America”. Andando oltre il giudizio storico – che non può e non deve appartenerci – cerchiamo di analizzare asetticamente il contesto e le conseguenze intrinseche di un simile avvenimento.
Con la duplice fase di escalation sotto la presidenza Kennedy prima, Johnson poi, gli Stati Uniti d’America divennero una forza operativa combattente su territorio vietnamita. Con il copioso sopraggiungere dei soldati nell’ex Indocina francese, si sviluppò una parallela industria del sesso legato a doppio filo al mondo militare. Non serve un genio per intuire il perché. L’austera e poco vitale economia vietnamita iniziò a ruotare sempre più attorno la presenza militare americana.
Molti vietnamiti videro nell’arrivo dei marines un’opportunità di guadagno, anche se illegale e formalmente proibita. In un simile frangente di guerra tutte le normative saltarono in aria, con l’autorità che in alcuni casi spinse persino per un’implementazione del fenomeno prostitutivo. Nacque un mercato nero (anche se alla luce del sole) alimentato quotidianamente da un rete di fornitori, commercianti e trasportatori. Sembrerebbe di star parlando di merci, ma al centro di tutto c’erano loro, le “ragazze da bar”, donne costrette a vendere il loro corpo per una media di 0,75 dollari l’ora pur di sopravvivere nella Saigon del tempo.
Le basi americane nella capitale erano letteralmente circondate da questi locali (genericamente chiamati “bar”, da cui “bargirls”), i quali avevano più cose in comune con le case chiuse che con luoghi dove poter consumare pasti o bevande. Poche righe più sopra si è definito il fenomeno “dilagante”. Sono i numeri a giustificare un simile aggettivo: negli ultimi anni di guerra il Vietnam del Sud contava dalle 300.000 alle 500.000 prostitute. L’80% di esse era affetto da malattie veneree.
Molte “ragazze da bar” subivano violenze, molte altre ancora finivano per rimanere incinta. Ricerche e studi condotti negli ultimi due decenni del XX secolo dimostrano che all’incirca 50.000 bambini sarebbero nati da tali rapporti. In America li chiamarono Amerasian (per metà americani, per metà asiatici), mentre in Vietnam li soprannominarono “bui doi“, ossia “polvere di vita”. In una società come quella vietnamita post-guerra, questi bambini subirono l’ostracismo e la marginalizzazione più brutale.
Le autorità militari americane si preoccuparono per la diffusione di malattie veneree tra le truppe. Per queste ragioni (e non perché mosse da uno spirito assistenzialista) iniziarono ad effettuare controlli più o meno regolari sulle “ragazze da bar” di stanza a Saigon. Da sottolineare come non si facesse caso all’età delle prostitute, ma solo al loro stato di salute, idoneo o meno allo svolgimento del servizio. Pregiudizi, leggende nere e racconti distorti si diffusero altrettanto velocemente tra i soldati americani. Voci diffamanti che inabissarono ulteriormente la condizione sociale delle donne sudvietnamite.
Ben noto in quel contesto di guerra era il “centro ricreativo” di Pleiku, nel centro di Saigon. Un bordello a tutti gli effetti, che spiccava sopra gli altri perché messo in regola dall’amministrazione congiunta cittadina. Venti camere ampie e ben arredate, in cui lavoravano solo donne vagamente in grado di parlare inglese. Vigeva la supervisione di una direttrice sotto contratto del consiglio d’amministrazione cittadino. Si stima che ogni giorno passassero da Pleiku dai 100 ai 300 soldati americani.
L’aspetto più denigrante dell’intera vicenda riguarda tuttavia gli anni successivi alla guerra. Il governo vietnamita unificato a partire dai primi anni ’90 – dunque durante il primo boom economico – finanziò un programma volto al reinserimento nella società di tutte quelle persone incatenate al mondo della prostituzione. Non ebbe un grande successo, anche a fronte della “nuova ondata” di donne, per lo più di estrazione contadina, che approdarono nei maggiori centri urbani e che finirono per prostituirsi per non soccombere.