Storia Che Passione
La drammatica storia della "Ricollocazione" degli Inuit nell'Alto Artico

La drammatica storia della “Ricollocazione” degli Inuit nell’Alto Artico

Messi su una barca e spediti verso l’arcipelago artico canadese, costretti a vivere in una terra aspra e ostile, utilizzati come pedine di un gioco estremamente più grande di loro ma del quale non hanno mai chiesto di essere partecipi. Basterebbero queste due righe e mezzo per descrivere quella che per il governo di Ottawa fu poco più di una semplice “ricollocazione” negli anni ’50 dello scorso secolo. Se vista dalla prospettiva dei diretti interessati, gli Inuit, non si parlerebbe di ricollocazione, ma di migrazione forzata, di esodo, di drammatico mutamento delle condizioni alle quali erano abituati da generazioni e generazioni. Dunque chiediamoci: perché? Perché il Canada sentì la necessità di agire su questi impervi binari?

La drammatica storia della "Ricollocazione" degli Inuit nell'Alto Artico

Brutali interessi geopolitici. Eccola, nuda e cruda, la risposta che tutti attendevano. Nel cuore degli anni ’50, quando sembrava che la guerra fredda fosse giunta su un pericolosissimo punto di non ritorno, il Canada decise di giocarsi le sue carte. Lo Stato nordamericano era (ed è) un fiero membro della NATO dal 1949. In quanto tale partecipava a pieno titolo a quella contrapposizione dicotomica fatta di blocchi e alleanze mondiali, dispostivi di prevenzione contro il male più grande, e per questo paradossalmente auspicabile: la guerra.

Inuit foto 1920

Il governo liberale canadese era allora rappresentato dal ministro Louis St. Laurent. L’esecutivo credeva nella valenza strategica dell’Alto Artico ma c’era un problema: a parte qualche stazione scientifica, non vi erano impavidi coloni che potessero rivendicare per il Canada quelle terre desolate. Ottawa ragionò sul da farsi e alla fine partorì la malsana idea, che osarono denominare “High Arctic Relocations”, ossia “Ricollocazione nell’Alto Artico“. Si puntò il dito su alcune famiglie Inuit del Quebec settentrionale, fu detto che se avessero accettato di trasferirsi a nord, avrebbero garantito per loro un futuro prospero, fatto di abbondanza e benessere.

Inuit circolo polare artico con basi aeree durante guerra fredda

All’epoca dei fatti il governo canadese giustificò il trasferimento attraverso motivazioni oggettivamente assurde. Sostennero di star agendo per il bene delle famiglie Inuit del Quebec del nord, fin troppo “legate alle pratiche di assistenzialismo sociale” e bisognose di tornare “al primario stato di sussistenza”.

Questa complessa rete di interessi coloniali, economici e strategici trovò concretizzazione nell’agosto del 1953. Undici famiglie Inuit di Inukjuak (Quebec settentrionale) si trasferirono sull’isola di Ellesmere e su quella di Cornwallis, rispettivamente negli insediamenti di Grise Fiord e di Resolute Bay. Prima di partire i funzionari governativi dissero alle famiglie di non portare ingenti scorte di cibo, perché tanto avrebbero trovato tutto il necessario a destinazione. All’arrivo essi non trovarono altro che ghiaccio, spoglio e solitario ghiaccio.

Inuit insediamento di Grise Fiord

La spedizione del 1953 fu la prima delle tre complessive (1955, 1957). Nei primi anni a seguito della ricollocazione forzata, le famiglie Inuit soffrirono estreme privazioni, date dalla mancanza di ogni risorsa utile alla sopravvivenza. Lo sconvolgimento di vite abituate ad altri ritmi ed altre comodità non rappresentò per il Canada un fattore su cui rimuginare. A Resolute Bay e Grise Fiord l’estate dura pochissimo, mai più di sei settimane. Da ottobre a febbraio non c’è praticamente luce diurna. Gli esuli Inuit dovettero adattarsi ad una dieta totalmente diversa, ben presto conoscendo le agonie di madre fame e di padre freddo.

Inuit mappa delle terre Nunangat

Come vivere? Anzi, come sopravvivere senza le bacche, le vongole, le oche canadesi e le uova a cui erano abituati nel Quebec? Con cosa riscaldarsi? Ad Ellesmere si reinventarono cacciatori di trichechi e foche, anche se la pesca tra i ghiacci non fu mai un gioco da ragazzi. Anche nella scusa più banale e sbrigativa il governo canadese si dimostrò fallace. Avevano detto di voler rendere quelle famiglie più autonome e invece si ritrovarono orde di persone all’assalto dei distaccamenti della Royal Canadian Mounted Police, le uniche rappresentanze istituzionali nel raggio di mille miglia. Fino al 1962 agli Inuit ricollocati mancò tutto: quasi un decennio trascorse senza servizi governativi, riscaldamento, un’infermeria o una scuola.

Inuit abitanti Resolute Bay 1958

La vita comunitaria non esisteva, non poteva esistere. Un simile mutamento radicale ebbe degli effetti a lungo termine sulla sanità mentale. Si insediò lo spettro della depressione, mietendo morti. E sia ben chiaro! Queste furono e sono ancora oggi vittime manifeste di un sistema ipocrita. A Grise Fiord (per i locali Ausuittuq, “il posto dove non scongela mai”) e Resolute Bay (Qausuittuq, “il luogo dove non vi è alba”) vivono i discendenti dei primi esuli Inuit. Per la maggior parte di loro non si tratta di una casa, ma di un’imposizione.

Imposizione per la quale Ottawa si è scusata ufficialmente solo nel 2010. Redenzione – se così possiamo chiamarla – che affonda le sue radici dagli anni ’70 del XX secolo. Fu allora che alcuni nuclei familiari si trasferirono a loro spese altrove. Con loro circolarono le storie di ciò che avevano vissuto: l’inferno di ghiaccio. “Pedine” (termine utilizzato nientemeno che dal governo canadese) di uno scacchiere immensamente complicato per le loro semplici vite, ma non per questo di minor valore.

Inuit monumento in memoria della migrazione forzata

Nel 2008 la Nunavut Tunngavik Incorporated (NTI) ha commissionato la costruzione di una statua a Grise Fiord. Questa raffigura una donna ed un bambino Inuit abbracciati, emblema della resilienza e del sostegno reciproco nonostante le avversità. I soggetti guardano a sud, quel sud da cui non si sarebbero mai distaccati se non fosse stato per un potere approfittatore. Sul monumento vi è un’iscrizione, la quale recita:

“Alle comunità Inuit dell’Alto Artico. La sovranità artica è legata alle azioni degli Inuit e ai loro sacrifici, che essi prendano finalmente il controllo di una narrazione storica fin troppo a lungo negata”.