28 luglio 1866, una data storica per l’America, tanto per quella nativa quanto per quella “bianca”. Il Congresso a Washington autorizzò per decreto la formazione di corpi militari composti esclusivamente da nativi americani. All’interno di suddetti corpi sarebbero confluiti esploratori, traduttori, informatori e combattenti dispregiativamente definiti “soldati pellerossa”. Per l’esercito statunitense essi erano gli “Scout indiani” (dall’inglese “Indian Scouts”). Questa è la loro controversa storia.
Con la fine della guerra di secessione, il west americano continuava ad essere quello che sempre era stato: selvaggio. Le tribù native sfruttarono la distrazione del conflitto civile per reclamare – con la forza – ciò che spettava loro di diritto. Non pochi nativi si cimentarono in incursioni contro forti militari, accampamenti, piccoli villaggi e carovane. In quel momento estremamente delicato, essenzialmente di ripresa e stabilizzazione, Washington preferì affidarsi ad altri nativi, quelli più fedeli, per trovare una soluzione al problema occidentale. Queste le premesse che portarono alla nascita degli Scout indiani: uomini in grado di parlare la lingua dei nemici, comprenderne la cultura e giocoforza sfruttarne i punti deboli, per loro noti e facilmente individuabili.
Ora la domanda che sorge spontanea non è tanto “perché i nativi, invece di allearsi contro il nemico comune dalla pelle bianca, decisero di osteggiarsi a vicenda?” – con o senza gli americani, le nazioni indigene si erano sempre fatte la guerra tra di loro – quanto più “perché sottostare al soldo statunitense quando, fin da tempi non sospetti, lo si era fortemente ripudiato?”. Motivazioni esistono e sono anche semplici da individuare.
In primo luogo un fattore fu la necessità di guadagno immediato. Per quanto esistesse ancora un certo grado di autonomia e indipendenza dal sistema maggioritario, moltissimi nativi americani dipendevano dall’economia bianca, dalle sue istituzioni e dalle sue regole. Per giocare secondo quelle regole, serviva denaro e i soldi non piovevano dal cielo, neppure danzando attorno ad un falò. Diventare un Indian Scout conveniva, soprattutto se pensiamo alla paga corrisposta, di ben 13 dollari al mese (266 dollari odierni, che possono sembrare pochi, ma dovete sempre immaginare quanto più basso fosse il costo della vita all’epoca).
Un secondo fattore da non dover assolutamente ignorare riguardava la prospettiva di vita futura. Come detto poche righe più sopra, per un nativo entrare a far parte del sistema americano poteva significare stabilità e sicurezza. Non di certo scappatoia dalle critiche razziste – quelle erano immancabili – ma progressivo adattamento alla società predominante.
Interessante a mio avviso è comprendere in che modo operassero gli Scout indiani. Cadremmo in fallo se pensassimo ad un corpo armato di soli nativi perennemente in lotta con i cugini restii a chinare il capo. Le battaglie, che pure infiammavano di tanto in tanto, erano un’evenienza rara. La consuetudine era la seguente: il gruppetto di nativi fedeli all’esercito si presentava negli accampamenti delle tribù insorte e tentava il dialogo. Spesso si riusciva ad evitare lo scontro, riportare le tribù sui loro passi e, perché no, concordarsi sulle riserve. Ma il governo degli Stati Uniti d’America altrettanto di frequente utilizzò gli Scout indiani come strumento per frazionare e generare divisione fra i clan. Divide et impera, come dicono quelli bravi.
Vi sento, chiedete a gran voce esempi concreti. Chi sono io per scontentarvi? Distaccamenti di Scout indiani parteciparono ad alcune delle battaglie in territorio nord-americano più rappresentative dell’Ottocento come Little Bighorn (1876), le guerre apache degli anni ’80 o, giusto per fare un balzo nel secolo successivo, alla spedizione di Black Jack Pershing in Messico alla caccia di Francisco “Pancho” Villa, datata 1916.
Il decreto del massimo organo legislativo americano venne prorogato in più occasioni fino all’abrogazione su voto del 1920. Ciò si tradusse in mezzo secolo di operatività previsto dalla legge. Eppure per coloro che si arruolarono prima degli anni ’20 del XX secolo, il servizio continuò fino alla scadenza naturale (pensionamento o morte). L’ultimo Scout nativo americano si congedò dallo U.S. Army nel 1947, dopo trent’anni di onorevole servizio nella base di Fort Huachuca, in Arizona.