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Il DNA svela che le vittime di Pompei non erano chi pensavamo fossero

Un nuovo studio ha rivelato che alcune delle vittime di Pompei più celebri non sono quello che abbiamo sempre pensato essere. Il DNA parla chiaro: quella madre con bambino in grembo non erano affatto madre e figlio come abbiamo immaginato. Anzi, non erano nemmeno parenti.

Nuovi dettagli in merito alle vittime di Pompei

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Crediti foto: @Parco archeologico di Pompei

La coppia in questione è quella dove vediamo un adulto che indossa un braccialetto d’oro tenere un bambino in grembo. Facendo una rapida equazione, ovvero adulto con bambino in grembo, cosa salta fuori? Esatto, madre con bambino.

Ma il DNA non mente: quel duo erano un maschio adulto e un bambino neanche imparentati fra di loro. Questi i risultati dello studio condotto da David Reich, professore di genetica presso la Harvard Medical School.

E non è finita qui. Un’altra coppia, morta mentre si abbracciava e che si pensava essere composta da madre e figlia o da due sorelle, in realtà sono una coppia uomo e donna. Trovate lo studio completo pubblicato sulla rivista Current Biology.

Reich e il suo team hanno esaminato il DNA di cinque individui morti durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Quando il vulcano eruttò, la cenere vulcanica sprigionatasi dall’esplosione, formata da pomici e da un flusso piroclastico, ricoprì l’area circostante con uno strato mortale, seppellendo vive le persone e preservando le forme di molti corpi sotto gli strati calcificati di cenere. Molti altri, invece, furono vittime delle scosse sismiche generate dall’eruzione.

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Crediti foto: @Parco archeologico di Pompei

I resti della città tornarono alla luce solamente nel 1700, ma dobbiamo aspettare il secolo successivo per avere i calchi delle vittime. L’archeologo Giuseppe Fiorelli, infatti, perfezionò la tecnica usata ancora oggi che permette di riempire i buchi di forma umana lasciati dalla decomposizione dei corpi per creare dei calchi delle vittime.

Proprio i calchi hanno permesso agli studiosi di esaminare le vittime nei loro ultimi momenti di vita, formulando poi ipotesi sulla loro identità in base a dettagli quali la localizzazione, la posizione assunta nel momento della morte, accessori e abbigliamento.

Il problema, però, è che le interpretazioni date erano influenzate da abitudini e dal pensiero moderno. Per esempio, si è sempre pensato che le quattro persone presenti nella casa con l’individuo con il braccialetto d’oro fossero due genitori con i figli. In realtà, però, nessuno di loro era geneticamente imparentato.

L’analisi del DNA ha permesso di stabilire che le vittime avevano tutte un background genomico diversificato, anche se principalmente erano discendenti da recenti immigrati del Mediterraneo orientale. Il che conferma la realtà multietnica dell’Impero Romano.

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Crediti foto: @Parco archeologico di Pompei

Appare dunque fondamentale integrare i dati genetici con le informazioni storiche e archeologiche, in modo da evitare interpretazioni erronee basate su ipotesi moderne. Secondo Carles Lalueza-Fox, biologo presso l’Istituto di biologia evolutiva di Barcellona e ​​specializzato nello studio del DNA antico (ma non coinvolto nello studio) ha dichiarato a Live Science che per lui è molto più interessante scoprire che un uomo con un braccialetto d’oro aveva cercato di salvare un bambino non imparentato con lui piuttosto che suppore che si trattasse di una madre col suo bambino.